Rivera e il rifiuto di vaccinarsi. La solitudine dei numeri dieci

La scelta dell’ex golden boy spiazza i salotti tv. Ma rilancia l’urgenza di un confronto sulla profilassi

Gianna Rivera con la maglia della nazionale

Gianna Rivera con la maglia della nazionale

Inizia oggi la collaborazione con il nostro giornale del comico-cabarettista Leonardo Manera, volto noto della televisione. La sua ironia profonda e provocatoria al contempo ci aiuterà a scandagliare i punti di vista differenti sulle questioni di attualità, a partire dalla pandemia ancora in corso. Sempre con la promessa di provare a strappare un sorriso (amaro) ai nostri lettori.

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A volte capita. A volte capita di giocare a pallone senza che gli altri ti passino mai la palla. Tu corri, ti smarchi, ti fai trovare libero. Segnali la tua presenza ai compagni, ma niente da fare. Loro quella palla non te la vogliono proprio dare, anche se la tua posizione sarebbe ideale. E allora ti senti solo. Ti senti quasi un peso e cominci anche a dubitare delle tue capacità. Però, di solito, succede a quelli che non sono considerati grandi giocatori. Capitava a me, quando giocavo in una squadretta di provincia. Tecnicamente me la cavavo, ma ero miope e in quel periodo non si usava indossare occhiali per fare sport.

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Così le mie prestazioni erano condizionate dal veder poco la palla. Intuivo una massa informe e tonda che si muoveva, ma sempre troppo tardi per poter agire efficacemente in campo. Perciò i miei compagni, sapendo del mio problema, anche quando ero in buona posizione non mi gratificavano coi loro passaggi. E così mi sentivo solo, finendo ogni partita con un’amarezza di fondo. Mi sentivo escluso dal resto della squadra e, anche quando ci capitava di vincere, mi sentivo sempre ai margini. La solitudine del giocatore, poi, la si può provare in determinati ruoli, soprattutto se raramente si è chiamati a intervenire.

Può capitare al portiere oppure a un attaccante, se si fa catenaccio in difesa. O, viceversa, al difensore, che guarda da lontano l’azione che si svolge da tutt’altra parte. Non succede mai, di regola, ai centrocampisti, soprattutto se tecnicamente dotati. Sicuramente in carriera non è mai capitato a Gianni Rivera, che del Milan di quei tempi era il cuore pulsante, il giocatore che tutti i compagni cercavano. Insomma, Gianni Rivera fino a quando ha giocato non ha mai provato la solitudine del numero dieci.

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Quella solitudine, però, immagino l’abbia sentita sulla sua pelle qualche giorno fa, nello studio di Bruno Vespa, quando l’ex capitano milanista ha dichiarato che non intende avvalersi del vaccino. Lo sguardo di Bruno Vespa si è fatto tetro e stupito, così come quello degli altri ospiti, imbarazzati dalla dichiarazione dell’ex campione. In quel momento Bruno Vespa, da conduttore televisivo, si è trasformato in stopper ed è intervenuto con una risolutezza che nemmeno il Sergio Brio dei tempi d’oro. Non lo si poteva mandare via dal ’campo’, Rivera, perché sarebbe stato in qualche modo un atto di lesa maestà, ma è stato emarginato dal gioco, guardato con sospetto ed è subito stato chiaro che ci avrebbero pensato bene prima di ripassargli la palla. Ha provato la solitudine del numero dieci, forse per la prima volta nella vita. Successivamente è poi arrivata anche la reprimenda di uno dei principali ct dei nostri tempi, il prof Burioni.

E così Gianni Rivera, da eroe di Italia Germania 4-3 è rapidamente divenuto simbolo di un modo di pensare che deve stare panchina, anche se forse meriterebbe semplicemente un confronto che possa convincere anche i più scettici, per il bene di tutti. Ma viviamo in tempi difficili dove le opinioni diverse, magari anche sbagliate, hanno poco diritto di scendere in campo. Insomma, la palla l’aveva portata da casa Bruno Vespa e dubito che nella sua formazione schiererà di nuovo il nostro ex calciatore dalla bianchissima chioma. Casomai anche stavolta, come in Messico ’70, si potrà ricorrere alla staffetta, informandosi però per tempo sulle attitudini vaccinali di un altro grande ex, Sandro Mazzola.