Saman e il rientro in Pakistan: "È la mia più grande paura"

Pochi giorni prima di sparire la ragazza era andata dai carabinieri. "I miei genitori hanno già prenotato l’aereo, ma non andrò con loro"

Saman Abbas

Saman Abbas

"Non mi sento in pericolo a casa e penso di poter riottenere il mio passaporto. Fino al 10 giugno sono tranquilla. Perché quel giorno i miei genitori partiranno per il Pakistan e se dovessero cercare di convincermi ad andare con loro vi chiederò aiuto. La mia grande paura è di dover tornare in Pakistan".

Sono le ultime parole di Saman Abbas ai carabinieri che provarono a convincerla a non tornare a casa. "Ti diamo noi nuovi documenti". Ma lei declinò. "No, grazie: credo di poterli riprendere da sola. Fino al 10 giugno sono tranquilla".

È il 22 aprile quando a ricevere le confidenze della ragazza è il luogotenente Pasqualino Lufrano, comandante della stazione di Novellara. Il primo ad approfondire il caso, scoprendo che la ragazza aveva abbandonato la comunità l’11 aprile, ma era arrivata a Novellara solo 9 giorni dopo. È anche l’ultimo degli inquirenti che la vedrà.

"Mi ha detto in quell’occasione di essere tranquilla. La situazione non era allarmante. Tant’è che ha rifiutato diverse offerte di aiuto, in particolare per riavere i documenti. Abbiamo fatto tutto ciò che era possibile. Parliamo di una ragazza maggiorenne che si era allontana volontariamente", premette il maresciallo che ricostruisce le settimane precedenti la scomparsa.

È l’11 aprile, come detto, quando Saman lascia la comunità nel Bolognese nella quale si trovava sotto protezione dopo aver denunciato i genitori, rifiutando un matrimonio combinato. Ma solo il 20 aprile rientra a casa a Novellara. E questi nove giorni di ‘buco’? Che cos’ha fatto Saman? Forse era stata dal fidanzato pachistano, inviso alla famiglia e che non abita in Emilia-Romagna, con cui aveva pianificato di andarsene, dopo aver ripreso i suoi documenti? "Stiamo cercando di capirlo – puntualizza il maresciallo –. Non era la prima volta che andava via dalla comunità senza dire nulla a nessuno. Il fidanzato? Mi ha accennato solo qualcosa di lui, ma nessun piano o progetto".

Andando con ordine, il 21 aprile il luogotenente viene allertato telefonicamente dai servizi sociali: "La comunità ci ha informati che è tornata a casa". Il giorno successivo il maresciallo trova Saman e la porta in una sala riservata in caserma per un colloquio. "Era senza velo, vestita all’occidentale. Era serena. Avrei potuto fermarmi qui, dato che non c’erano denunce o motivi di preoccupazione a quanto riferiva. Ma ho voluto approfondire, chiedendole i motivi del suo ritorno. Mi ha detto di essere tornata a casa in treno, da sola. Senza aver subito pressioni. Le ho chiesto ripetutamente se si sentisse al sicuro. Non ha riferito di maltrattamenti da parte dei genitori o altri. Tant’è che non avevamo riscontri sulla pericolosità dello zio (ritenuto l’esecutore e del delitto, ndr)".

Nonostante ciò il maresciallo insiste. "Qualcosa non mi quadrava, ho continuato a offrirle aiuto, ma alla fine ha solo accettato di restare in contatto coi servizi sociali, in particolare con un’assistente con la quale aveva instaurato un rapporto di confidenza, qualora ci fossero stati problemi".

Saman temeva che i genitori potessero portarla in patria, costringendola a sposarsi col cugino. Ma aveva promesso di avvertire se ci fossero stati segnali di pericolo. Mai avrebbe immaginato tutto il resto. Il 3 maggio i servizi sociali provano a contattarla al telefono. Nessuna risposta. Chiamano il maresciallo Lufrano e danno l’allarme. "Ci siamo precipitati a casa. E non abbiamo trovato nessuno".