Vaccini AstraZeneca, regioni nel caos. Nove dosi su dieci sono ancora in frigo

Anelli (medici di base): "Abbiamo 21 sistemi sanitari diversi. Ci hanno coinvolti all’ultimo, oggi in campo solo sulla carta"

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Roma, 25 febbraio 2021 - Sui vaccini AstraZeneca ci siamo incartati. Tra il 6 e il 19 febbraio, in tre tranches, sono arrivate in Italia più di un milione di dosi (1.048.800). Sabato 20 la Difesa (il comando operativo di vertice interforze) ha completato la distribuzione delle ultime 506.400 fiale. Consegna record e no stop, in meno di 24 ore. Fin qui insomma non si è perso tempo. Poi: domenica 21 è stato firmato il protocollo per ’arruolare’ 35-38mila medici di famiglia. Che, continua a ripetere in tv il ministro Speranza, "assicureranno nuova linfa".

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Il futuro è d’obbligo. Perché fino a ieri – dati sul sito del governo, aggiornati alle 15 – erano in tutto 95.969 le fiale somministrate tra forze armate (37.522) e personale della scuola (58.447), le due categorie principali individuate per il siero sviluppato in collaborazione con l’università di Oxford. Siamo sostanzialmente al 10% delle consegne.

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Perché così poco? Perché "ci sono 21 sistemi sanitari regionali e non ci sono ancora i colleghi di famiglia davvero in campo", non ha dubbi Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la federazione degli ordini dei medici. Problemi logistici e organizzativi.

Con eccezioni virtuose. La Toscana alle 16 di ieri – dati dell’assessorato – aveva esaurito le sue "43.541 dosi" di AstraZeneca. Sono arrivate il 9, due giorni dopo è iniziata la campagna di somministrazione a "personale scolastico e universitario, docente e non docente, di ogni ordine e grado; forze armate e di polizia; personale degli uffici giudiziari". I vaccinatori sono dottori e infermieri delle Asl, "in misura minore" reclutati con "il bando Arcuri". Mentre i medici di famiglia sono impegnati nella campagna degli over 80. Stessa cosa in Lombardia, come spiega la segretaria regionale Fimmg, Paola Pedrini: "Avevamo già un accordo, siglato a gennaio. In questo momento stiamo vaccinando gli ultra-ottantenni, quindi non stiamo somministrando AstraZeneca". Il collega del Veneto Domenico Crisarà fa questo quadro: "La Regione non ci ha ancora contattato. Abbiamo dato la nostra disponibilità ma siamo tra quei territori che hanno aspettato il protocollo nazionale. Attendiamo di sapere se e quando ci convocheranno".

Alle tre di ieri pomeriggio Euro Grassi, segretario della Fimmg a Reggio Emilia, fa un salto sulla sedia. L’intesa locale con l’Asl si è arenata. Così quando vede scorrere su un sito il titolo, "vaccini anche senza accordo", va all’attacco: "Questo è un atto di guerra". Più tardi si ammorbidisce: "L’azienda vuole iniziare il 1° marzo. Vedremo se ci sono i margini per ricucire". Ma non gli va giù che l’assessore regionale abbia dichiarato, "chiamate i medici dal 22. Siamo stati sommersi. Non si fa così. Non ci siamo fermati per soldi, non è questo. Qui c’è un problema di organizzazione. Già siamo diventati matti durante la campagna anti-influenzale perché non arrivavano i vaccini. Non è colpa dell’Asl, fa quel che può. Ma noi chiediamo tempi certi sulla consegna delle fiale e gli elenchi dei pazienti da immunizzare".

Maneggiare AstraZeneca richiede sicuramente qualche precauzione presa in anticipo. Lo spiega Renzo Le Pera, vicesegretario nazionale della Fimmg, medico nel Bolognese. Chiarisce: "A me sono state consegnate venti dosi ieri pomerigio (martedì, ndr). Sono andato a ritirarle all’Asl di Casalecchio. Le ho prese anche per altri colleghi. Due flaconi da dieci a testa, in Emilia Romagna siamo tremila. Quando ne apri uno, devi usarlo entro 6 ore. Quindi devo convocare dieci persone nella stessa seduta vaccinale, altrimenti è uno spreco. Gli elenchi? Non ci sono stati forniti, si va per contatti. Di recente abbiamo fatto una campagna per i sierologici a scuola, su quello abbiamo un nostro archivio. Fondato però sulla conoscenza, non sulla certezza". Poi rimarca: "L’introduzione della medicina generale nella campagna è un fatto nuovo. Fino a pochissimi giorni fa la mia categoria era esclusa. Cosa serve oggi? Vaccini e organizzazione". Ma se ogni Regione e addirittura ogni città fa storia a sé, non sarebbe meglio avere una regia unica nazionale, vedi la Protezione civile? "Io ho votato no anche al titolo V a suo tempo, con me si sfonda una porta aperta – sospira –. Ma ora l’importante è avere le fiale e cominciare. Il problema è la continuità".

Anelli va al dunque: "Abbiamo 21 sistemi sanitari diversi, quante sono le Regioni. Per dire: in Puglia si sta trovando un accordo per tutti i vaccini. I medici chiedono garanzie. Hanno organizzato tutto senza quelli di famiglia, ora bisogna ripensare ogni cosa, cambiare modello. Se hai deciso che la gente deve andare nelle palestre a fare il vaccino, bisogna capire se anche i colleghi devono andare lì o no. Abbiamo somministrato poche dosi di AstraZeneca perché i medici sono pochi. Sulla carta parliamo di quasi 40mila per quelli di famiglia. Ma non sono scesi in campo. In Puglia, per dire, non hanno ancora iniziato". Per questo Anelli non ha dubbi: "Ormai è tardi, meglio organizzarsi per la seconda fase".