Scoperta variante italiana del Covid. "È antenata di quella inglese, circola da agosto"

Il presidente dei virologi Caruso: isolata ad agosto su un paziente asintomatico. E il vaccino? "Credo che funzioni, dobbiamo verificare". Bassetti: si spiegherebbe il picco di novembre

Ricerca contro il Covid (Ansa)

Ricerca contro il Covid (Ansa)

Roma, 28 dicembre 2020 - Oltre alla variante inglese del Covid, che tanto spaventa il mondo, c'è anche una variante italiana del virus, molto simile a quella britannica e che circola dai primi di agosto nel nostro Paese. Dunque la variante italiana è precedente a quella britannica, emersa solo a fine settembre. "Potrebbe anche esserne un precursore", spiega Arnaldo Caruso, presidente della Società italiana di virologia (Siv-Isv), ordinario di Microbiologia e Microbiologia clinica all'università degli Studi di Brescia, direttore del Laboratorio di microbiologia dell'Asst Spedali Civili.   "La variante del virus è stata isolata ad agosto su un paziente asintomatico, che non era ricoverato al Civile di Brescia, che era alle prese da mesi con il covid - spiega Caruso - La situazione ci ha incuriosito e ora possiamo dire che in Italia potrebbe circolare una variante del virus simile a quella inglese. Ma che per tempi può essere considerato un virus antenato di quello inglese". 

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Varianti e vaccino: sarà efficace?

La domanda sorge spontanea: come si comporterà la variante italiana col vaccino? Il virologo annuncia: "Stiamo lavorando per capire se il vaccino sia in grado di neutralizzare anche questa variazione del virus. Personalmente credo di sì, ma dobbiamo ancora verificarlo". "Il vaccino genera una risposta complessa verso tante aree della proteina Spike - dice Caruso - per cui anche se vi fossero alcuni anticorpi non in grado di riconoscere una zona mutata come quella in posizione 501 o 493, ce ne sarebbero sicuramente altri in grado di legarsi a porzioni non mutate della proteina. Il loro legame sarebbe sufficiente a impedire l'interazione tra Spike e recettore cellulare, anche solo per una sorta di 'ingombro sterico' che gli anticorpi creerebbero sulla superficie del virus. In poco tempo avremo comunque una risposta certa a questa domanda".  

"L'alta carica virale presente nei tamponi di agosto e novembre" eseguiti sul paziente che non si negativizzava "ci ha permesso di isolare a Brescia i mutanti virali. Questo - sostiene Caruso - ci permetterà di cimentare questi virus con i sieri di pazienti Covid-19 ottenuti durante la prima ondata pandemica, e di valutare la capacità degli anticorpi di neutralizzare questa variante rispetto ai ceppi virali circolanti in precedenza. Appena disponibili, verranno valutati in modo analogo anche sieri di pazienti vaccinati. Io resto al momento ottimista", assicura il presidente dei virologi italiani.

Bassetti: si spiega il picco di novembre

Per Matteo Bassetti, direttore della Clinica di Malattie infettive dell'ospedale San Martino di Genova, "sulla varianza inglese c'è stato tanto rumore esagerato, ma come abbiamo visto ogni Paese ha isolato delle varianti che sono poi compatibili con quello che accade ai virus che mutano. Quella isolata a Brescia potrebbe in parte giustificare e far capire perché noi abbiamo avuto a ottobre e novembre, soprattutto in Lombardia, così tanti casi con una diffusione molto facile del virus in aree particolari".

Pregliasco: studiare le varianti

Il virologo dell'università degli Studi di Milano, Fabrizio Pregliasco sottolinea l'importanza di studiare le varianti del Covid: "E' interessante questo studio italiano che suggerisce che, chissà, la variante inglese magari non è neanche nata in Inghilterra, ma in Gb sono solo riusciti a individuarla per primi. Studiare le varianti è importante e questi studi mostrano che bisogna andare in questa direzione velocemente per verificare anche l'efficacia del vaccino. In parallelo questi approfondimenti, queste indagini di secondo livello sono assolutamente necessarie". 

Come si presenta la variante italiana

La variante individuata, spiega Caruso "ha diversi punti di mutazione nella proteina Spike, l''uncino' che il virus usa per attaccare il recettore presente sulle cellule bersaglio nel nostro organismo. Come quella inglese, anche la variante italiana ha una mutazione in un punto nevralgico dell'interazione Spike/recettore cellulare, più precisamente in posizione 501".  Ma a differenza del mutante britannico, "la variante italiana ha anche una seconda mutazione in posizione 493, che rende la sua proteina Spike leggermente diversa da quella del virus pandemico che tutti oggi conosciamo". 

Il paziente con la variante italiana

Come spesso capita i ricercatori sono arrivati a descrivere la variante italiana casualmente, racconta Caruso: "Osservando una persistenza virale anomala in un paziente che aveva sofferto di Covid-19 in aprile. Anche dopo la guarigione, i tamponi effettuati da agosto in poi avevano sempre dato esito positivo con virus ad alta carica. A novembre ci siamo decisi a sequenziare il virus per capire il perché di questa persistenza, e con nostra sorpresa ci siamo resi conto di avere identificato una nuova variante, simile ma non identica alla variante inglese che iniziava a circolare anche in Italia. A questo punto abbiamo sequenziato anche un campione dello stesso paziente ottenuto ad agosto", scoprendo che "la Spike variata era già presente allora, con tutte le sue mutazioni".  

La tempistica delle varianti

"Non sappiamo se la variante inglese è emersa esattamente a fine settembre, così come la nostra ai primi di agosto - precisa il numero uno dei virologi - Un'analisi temporale delle sequenze di Sars-CoV-2, effettuata dal gruppo di Massimo Ciccozzi", epidemiologo dell'università Campus BioMedico di Roma, "ci dice che questa nuova variante italiana potrebbe essersi generata intorno ai primi di luglio. Quel che possiamo affermare dagli studi del collega Ciccozzi è che la nostra è di certo la prima evidenza di mutazioni nella proteina Spike a livello della posizione 501 in Italia e forse, almeno ad oggi, in Europa. L'omologia di sequenza tra la variante da noi identificata e quella inglese porta a pensare che la prima possa avere di fatto generato le altre che oggi stanno emergendo nel nostro continente. Ma per affermare questo è necessario ricostruirne i passaggi, e servono tante analisi del genoma virale ancora non disponibili".