PIERO DEGLI ANTONI
Cultura e spettacoli

Denis Bergamini, morte nell’ombra. Pablo Trincia e il giallo del 1989

La tragedia mai chiarita del giovane calciatore ferrarese sarà al centro della nuova puntata della docuserie

Pablo Trincia torna sul giallo della morte di Denis Bergamini (nel riquadro)

Pablo Trincia torna sul giallo della morte di Denis Bergamini (nel riquadro)

Trent’anni dopo. O, meglio, 35. L’enigma della morte di Denis Bergamini, nato ad Argenta, nel Ferrarese, calciatore del Cosenza morto in circostanze poco chiare il 18 novembre del 1989 è al centro di un nuovo capitolo della docuserie ‘Il cono d’ombra’ di Pablo Trincia (già famoso per ‘Veleno’ sui bambini della Bassa Modenese, su Elisa Claps, sulla tragedia di Rigopiano) che va in onda il 27 e 28 giugno su Sky Tg24, Sky Crime, Sky Documentaries, Sky Sport e Now.

Il giallo Bergamini contiene tutti gli elementi di una morte inspiegabile: un calciatore promettente, una vita felice, una squadra e una città che lo ama, insomma niente potrebbe motivare la decisione di lanciarsi all’improvviso, di notte, sotto un camion, da una piazzola stradale molto distante da Cosenza.

Con lui, nella sua auto, la ex fidanzata Isabella Internò che ai tempi testimoniò di averlo visto tuffarsi, dopo essere sceso dall’auto, sotto il camion. Una prima sentenza del 1991 confermò: suicidio. Ma, grazie anche all’insistenza della famiglia che non è mai rassegnata a questa versione, nel 2017 la Procura ha riaperto il fascicolo e nel 2024 si è arrivati a una seconda sentenza, dall’esito opposto (non diciamo quale, per chi non avesse mai seguito la vicenda).

Pablo Trincia, con l’aiuto della sorella di Bergamini, Donata, ha scavato nella sterminata massa di atti processuali, ha interrogato gli ex compagni di squadra, ha visionato i filmati che lo stesso Bergamini aveva girato con una telecamera professionale (era appassionato), è arrivato persino a ricostruire in modo certosino tutte le fasi dell’inchiesta. È riuscito a ritrovare un modello identico all’auto del calciatore (una Maserati Biturbo bianca, decapottabile) e al camion investitore, per ripristinare in modo ineccepibile le scene. Gli attori interpretano i protagonisti di allora, mentre l’audio è quello autentico degli interrogatori e dei processi. Tutto si è reso necessario perché dei luoghi autentici del dramma non è rimasto niente: la famigerata piazzola dove Bergamini si fermò è stata coperta negli anni da ben due strade.

"Per noi la verità fu visibile fin dall’inizio", ha raccontato la sorella Donata ai giornalisti. "Una verità che altri non hanno voluto vedere. Papà guidava i camion, era un esperto, e aveva capito subito che le cose non potevano essere andate come era stato raccontato, che il corpo di Denis non poteva essere stato trascinato per tutti quei metri. Abbiamo compreso che tutt’intorno al fatto c’era chi metteva un muro. Per ora l’unica che ha fatto il carcere per 35 anni sono io". Ai tempi venne sospettato di tutto, anche a causa della collocazione geografica: che Denis avesse rapporti con la ’ndrangheta locale, che avesse comprato l’auto da un mafioso, che fosse coinvolto nel calcioscommesse e fosse stato corrotto per far perdere la sua squadra.

"Ma i Pm dell’ultimo processo hanno lavorato con grande scrupolo, sono arrivati anche a convocare testimoni di giustizia e pentiti della ’ndrangheta per verificare ogni possibile pista. E le hanno demolite tutte", ha spiegato Trincia.

Dunque, perché ci sono voluti 35 anni per arrivare a una sentenza – di primo grado – che ha condannato un colpevole? "Solo per sciatteria – è la risposta di Trincia –. Era tardi, per gli investigatori era fine turno, pioveva, era sabato sera. Chiudiamola qui, si sono detti. Spesso, purtroppo, prevale la spiegazione più semplice e più comoda." Troppo elementare, Watson.