Dopo l’idea di una laurea su Francesco Guicciardini, Francesco Arcangeli (1915 - 1974) si converte, in tutti i sensi, all’arte, laureandosi invece sul Trecento bolognese
con Roberto Longhi. Esordisce presto sulla rivista da Longhi fondata, Paragone, nella quale, molto presto, gli articoli dedicati all’arte contemporanea si affiancano ai saggi di storia dell’arte antica. Quando viene pubblicato il celebre scritto intitolato Gli ultimi naturalisti, Longhi, stupito, al pari di molti, di questo innovativo intervento che entra nel cuore del dibattito ’militante’ con uno sguardo tagliente e coraggioso, gli dice che "era uscito dalla storia dell’arte".
Per andare dove? Arcangeli risponde tempo dopo, col "breve discorso" pronunciato in occasione del conferimento del premio Feltrinelli, all’Accademia dei Lincei a Roma. "A distanza di molti anni" scrive nel 1969, "mi illudo che, coscientemente per la prima volta, io avessi tentato, in quelle pagine, uno sforzo iniziale per far coincidere in me stesso la storia dell’arte e la critica dell’arte". Aggiungendo in altro luogo che "la mia generazione ha, prima di tutto, creduto e lavorato e sofferto perché si riaffermasse un inscindibile rapporto, di radice esistenziale, fra l’arte e la vita; a costo di rivolta duramente individuale, molto spesso".
In occasione del cinquantenario dalla morte del maggior critico d’arte bolognese del Novecento, la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna gli dedica una mostra che raccoglie un’ottantina di dipinti che appartennero alla sua collezione, donati dalla sorella Bianca Rosa e appesi, fino alla morte di quest’ultima, alle pareti
dell’appartamento di Strada Maggiore, favoloso scrigno di memorie, echi, colori, suoni (I pittori di Francesco Arcangeli nella donazioni di Rosalba alle Collezioni d’Arte e di Storia della Fondazione Carisbo, Casa Saraceni, da oggi, ore 15, al 1 dicembre 2024, a cura di A. Mazza, M. Nottoli, B. Basevi).
È proprio Rosalba (questo il nome d’arte di Bianca Rosa) che introduce la mostra, con due ritratti della madre e un notturno. Fanno seguito opere di artisti diversi,
amati da Arcangeli o da lui presentati nelle mostre da lui curate, da Vasco Bendini, che ancora rimembra il maestro Guidi, a Carlo Corsi, Pompilio Mandelli, Luciano
Minguzzi, Ennio Morlotti, Giovanni Poggeschi, Ilario Rossi. Quasi tutti allievi dall’accademia bolognese, molti compresi nella ’bande’ degli ultimi naturalisti.
O, ancora, artisti oggi poco noti, "nei quali Arcangeli ha intravisto un’idea luminosa", che restituisce un aspetto della sua "personalità autentica, nobilmente e romanticamente ‘provinciale’, tenacemente legata alla propria terra e alla propria storia" (M. Nottoli).
Arcangeli pagò con l’inquieto trascorrere della sua vita lo "sforzo" di far coincidere vita e arte, arte antica e arte nuova. Inventò i "tramandi", dolci legami che superano tempi e luoghi per affermare una vicenda, quella dell’arte in sé, che sembra poter prescindere dall’uomo e dalle sue parole. Riuscì a creare sottili rapporti tra
Wiligelmo e Morandi, tra Ludovico Carracci e Giuseppe Maria Crespi, tra i romantici inglesi e tedeschi e l’invenzione della pittura dell’Ottocento, sempre provando "quell’ansia talvolta struggente di non essere all’altezza", il senso di inadeguatezza, il tremore, il dubbio di tanti, tantissimi grandi.
Beatrice Buscaroli