Economia non ti conosco

di MATTEO NACCARI - Le elezioni amministrative sono andate in archivio in Emilia Romagna dopo aver travolto i cittadini con i fiumi di parole – e di promesse – degli innumerevoli candidati a sindaco. Ma stringendo l’obiettivo sulle tre città al voto più importanti – Bologna, Ravenne e Rimini – si può notare come l’economia (e il lavoro) siano stati tra i temi meno gettonati.

Eppure la regione, così come il mondo intero, sta ora faticosamente uscendo da una crisi – provocata dalla pandemia – senza precedenti, che ha colpito al cuore tutte le imprese, lasciandosi alla spalle migliaia e migliaia di licenziamenti e tagliando pesantemente il reddito della maggioranza della popolazione. Ripresa e creazione di nuova occupazione avrebbero dovuto quindi essere in cima ai dibattiti, senza se e senza ma. E invece, complice probabilmente l’euforia che sta investendo adesso l’economia, in crescita (sperando che non sia un fuoco di paglia), il problema è sì stato affrontato, però non come priorità.

Qualsiasi imprenditore – anche di terza fascia – sa che il rimbalzo che stiamo vivendo, in particolare in Italia, rischia di avere vita breve se non si mette mano subito a problemi strutturali (burocrazia, pubblica amministrazione, giustizia, tasse e così via) che hanno sempre ancorato il nostro Paese a un aumento annuale del Pil (la ricchezza prodotta) di percentuali bassissime. Giusto, sfogliando i programmi dei tre nuovi sindaci di Bologna, Ravenna e Rimini (di Jamil Sadegholvaad, in rete, non si trova nulla di organico, si evince qualcosa da dichiarazioni sulla sua pagina Facebook) l’economia ha spazio, ci sono idee e proposte, ma tutti progetti che non tengono minimamente conto delle macerie che ha lasciato il Covid e del lavoro (gioco di parole) che andrebbe fatto per ridare lavoro a chi lo ha perso.

Si parla di transizione energetica, senza rendersi conto che è un passaggio epocale e che questa trasformazione rischia, se applicata troppo velocemente, di distruggere parte del nostro tessuto produttivo (vedi l’automotive). Si parla di dare attrattività al territorio, ma allo stesso tempo si dice che si vogliono difendere le eccellenze dalle multinazionali (e chi dovrebbe investire qui se non i grandi gruppi esteri?), si fanno accenni superficiali alla formazione (mentre le aziende non trovano manodopera, dal turismo alla manifattura), in sostanza non si guarda avanti cercando di sistemare quanto di rotto abbiamo alle spalle.

Peccato. Il momento per disegnare un nuovo futuro economico della regione è questo, adesso bisogna spingere o meno sulle grandi infrastrutture (ci servono oppure no Passante autostradale di Bologna o Cispadana?), riordinare o no il sistema fieristico (uniamo Rimini e  Bologna?), armonizzare gli aeroporti di Rimini, Forlì e Bologna, scegliere quali sono gli snodi dell’Alta velocità ferroviaria (aggiungiamo Parma?) e via dicendo. Posizioni, forse, che competono alla Regione, ma sulle quali le parole, e le idee, di sindaci pesanti come questi sono fondamentali, perché è dalla soluzione anche di questi rebus che dipendono appunto lavoro e nuova occupazione.

Nei programmi, purtroppo, la visione economica si ferma ai confini della provincia e non va oltre. Come se un Pil che cresce di uno zero virgola accontenti tutti comunque.