La Siguanaba

di ALESSANDRO VESPIGNANI - Molti ne parlano, pochi ne capiscono, tanti provano a maneggiarla come creta da modellare a seconda dei propri interessi. Magari rischiando anche qualche incomprensione, come quando la Corte Costituzionale nel febbraio scorso bocciò il referendum sul fine vita. Il presidente Giuliano Amato intervenne per frenare un dibattito politico-ideologico che si stava facendo incandescente e per spiegare una decisione che aveva motivazioni esclusivamente tecniche: "Il quesito – disse – apriva all’impunità di chiunque uccide qualcun altro con il suo consenso, sia che soffra sia che non soffra. Occorre dimensionare il tema del fine vita alle persone a cui si applica, ossia a coloro che soffrono. Noi non potevamo farlo sulla base del quesito referendario, con altri strumenti può farlo il Parlamento". Sarebbe ora, insomma, che la giustizia – è di lei che stiamo parlando – non fosse trattata più come la Siguanaba, l’entità sovrannaturale ammaliante e pericolosa portata recentemente sugli schermi di Sky dalla serie Blocco 181. Siguanaba è il soprannome scelto da Bea, l’impetuosa protagonista interpretata magistralmente dall’attrice colombiana Laura Osma. La giustizia è tutto il contrario. E adesso, con la crisi di governo, sale forte la preoccupazione che la riforma dei processi – penale e civile – si sciolga come neve al sole con il rischio anche di perdere alcuni miliardi del Pnrr. Tra ottobre e novembre – lo ha ricordato ieri in Senato lo stesso premier Draghi – devono essere approvati i decreti attuativi. Missione impossibile? Molto probabile. Il problema, però, non riguarda solo i percorsi burocratici e amministrativi. Riguarda la vita di donne e uomini. Perché la riforma Cartabia avrebbe potenziato la giustizia riparativa, inciso sull’arretrato e sulla durata dei processi, velocizzato i procedimenti e i contenziosi civili a beneficio del tessuto economico e finanziario. Si profila un’altra grande occasione persa.