Tamberi, se il figlio divorzia dal padre

di VALERIO BARONCINI  -  A pochi giorni dai mondiali di Eugene, in Oregon negli Stati Uniti, il campione olimpico di salto in alto Gianmarco Tamberi si separa dal padre Marco. Figlio licenzia padre-allenatore. Il padre che lo ha portato alla vittoria più importante nello sport. Un divorzio che ci obbliga a ragionare: l'eredità sportiva è un peso o una risorsa? E, più in generale, è giusto lavorare con i genitori? Vale per i campioni, ma anche nella vita di noi normali cittadini. Nel calcio viene da pensare ai Maldini, ai Chiesa, ai Simeone, ai Mazzola, ai Mandorlini. Nel tennis è ancora più evidente: dagli Agassi (chi non ricorda l'incipit della biografia 'Open' con quell'incredibile 'Io odio il tennis' e un padre da film?) ai Giorgi (per stare nelle nostre terre) fino alle sorelle Williams, il cui padre è diventato materia da premio Oscar. E poi i Cagnotto, o Quario-Brignone. Ci fermiamo qui. 

Le risposte alle domande di cui parlavamo prima sono davvero complesse. Ma spesso, sia lavoro o sia sport, ci può guidare quella che Andre Agassi chiama "perfezione", parola da leggere in relazione agli altri soprattutto se gli altri sono famiglia: "L'unica perfezione che esiste è la perfezione di aiutare gli altri. È l’unica cosa che possiamo fare che abbia un valore o un significato duraturo. È per questo che siamo qui. Per farci sentire sicuri a vicenda".  Ecco, alla base di tutto - un rapporto duraturo o un divorzio improvviso come quello dei Tamberi - penso ci sia la conservazione di questa "perfezione".