Il gas nell’Adriatico: "Un tesoro da raddoppiare"

Un miliardo e mezzo di metri cubi vengono estratti in Emilia Romagna e Marche. Ecco cosa cambia dopo l’ok del Governo all’aumento della produzione

I tecnici dell'Eni al lavoro nel Mediterraneo

I tecnici dell'Eni al lavoro nel Mediterraneo

Ravenna, 20 febbraio 2022 - "Un primo passo importante, per quanto non risolutivo. Aspettiamo nuovi pozzi". Dopo una notte di analisi del provvedimento varato venerdì sera dal Consiglio dei ministri per fronteggiare la crisi energetica, compreso un rilancio della produzione di gas, nei commenti del mondo produttivo, sindacale e politico (Pd, Lega, Pri) dell’Emilia Romagna emerge l’invito a non fermarsi alla decisione appena presa, ma a proseguire sul rilancio del gas Adriatico accanto a una accelerazione sulle fonti rinnovabili. Nelle Marche la situazione è più articolata, con qualche sindaco sul piede di guerra. Il provvedimento adottato dal Governo, oltre a incentivi per abbattere il caro-bollette, prevede un aumento della produzione nazionale di gas di 2,2 miliardi di metri cubi, in pratica un raddoppio anche se, come vedremo, parliamo di cifre piccole.

Il documento uscito ufficialmente dalla riunione dell’esecutivo non è di facile interpretazione se non su un passaggio: il gas aggiuntivo deve venire dai pozzi attualmente esistenti, non devono esserci nuovi impianti estrattivi. Per conoscere dove verrà aumentata la produzione occorre rifarsi a una dichiarazione, sempre di venerdì, del ministro per la Transizione ecologica, Roberto Cingolani: innanzitutto dai pozzi al largo della Sicilia, poi da Marche e dall’area ravennate.

I numeri aiutano a capire meglio la situazione, soprattutto in questo momento con la guerra strisciante tra Russia e Ucraina e gli stoccaggi nazionali di gas al minimo storico.

L’Italia consuma circa 70 miliardi di metri cubi di gas all’anno, per il 90% di questo consumo dipendiamo dall’estero. Nel 2021, ne abbiamo prodotto circa 3,3 miliardi di metri cubi, di questi 2,3 sono venuti dall’Adriatico.

Per avere un parametro: nel 1994 l’Adriatico forniva 21 miliardi di metri cubi e contava, solo nell’area ravennate, oltre 10mila occupati. Oggi ne ha 3mila, quasi tutti impegnati all’estero. Davanti alle coste emiliano romagnole sono estratti circa 800 milioni di metri cubi di gas, più o meno altrettanti vengono dalle Marche e dall’Abruzzo. Uno degli esempi che ama portare più frequentemente il presidente di Nomisma Energia, Davide Tabarelli, è relativo al costo del gas estratto in Italia e di quello importato: 5 centesimi contro i 50-60 al metro cubo. Dieci volte tanto, valore che finisce poi nella bolletta che arriva a casa.

L’import ha anche un costo ambientale: il 30% di ciò che viaggia via tubo finisce col disperdersi, inquinando più della Co2. Tutto questo spinge il presidente di Confindustria Romagna, Roberto Bozzi, a dire che "il raddoppio della produzione di gas è un buon segnale anche se le bollette non cambieranno. Adesso bisogna lavorare per nuove trivellazioni e fonti alternative di energia. Bene gli aiuti alle imprese energivore in questo momento di difficoltà".

Uniti i sindacati sull’aumento produttivo. E ieri mattina, a Ravenna, il presidente della Regione, Stefano Bonaccini, ha ribadito quanto sostenuto durante la Conferenza Stato-Regioni: "Non si pensi di abbandonare il gas da un giorno all’altro. È un errore contrapporre l’ambiente al lavoro. Cosa andiamo a dire a una famiglia che deve abbassare al minimo, se non spegnere il riscaldamento perché altrimenti non ha i soldi per pagare la bolletta?".