Giovedì 25 Aprile 2024

Oggi l'onestà è più importante della verità

Questa parola si pone come il punto fermo del patto con i lettori. Il senso dei nostri giornali: raccontare solo ciò che vedono

L'editoriale di Agnese Pini

L'editoriale di Agnese Pini

Inizio oggi il compito che l’editore Andrea Riffeser Monti mi ha affidato, ovvero dirigere i suoi grandi e prestigiosi quotidiani: Il Giorno, Il Resto del Carlino, La Nazione, insieme al Quotidiano Nazionale.  I ringraziamenti, innanzitutto. All’editore, per questa straordinaria fiducia, e ai suoi figli: Sara, Matteo, Bruno. E poi ai direttori che mi hanno preceduto, in particolare gli ultimi in ordine di tempo: Michele Brambilla e Sandro Neri, per i quali alla gratitudine sommo riconoscenza e affetto.  Raccolgo l’eredità di una storia che resta per peso specifico e autorevolezza un punto fermo del presente e del futuro, e una squadra di professionisti che può contare su 261 redattori, decine di fotografi, centinaia di corrispondenti e collaboratori che coprono 46 presidi locali. Un potenziale unico.

Non ha senso adesso dirvi che cosa faremo, perché il nostro obiettivo è farvelo leggere, quello che faremo, giorno dopo giorno. Il punto, in fondo, è sempre lo stesso, ed è stare sul pezzo, come si dice nelle redazioni. Stare sul pezzo, per i nostri grandi quotidiani, significa tenere la rotta precisa ed esatta di quello che sono: e cioè il patrimonio più fiero dei territori grazie ai quali esistono. Delle città, delle periferie, delle lunghe strade che uniscono l’Adriatico al Tirreno, gli Appennini alle Alpi. Intorno, e in mezzo, c’è l’Italia e c’è il mondo. Ci sono guerre e ci sono pandemie. C’è l’inflazione, c’è la crisi economica, c’è la fragilità della politica. E c’è un giornale che è fatto di quattro giornali – con quattro cuori vivaci e pulsanti tra Bologna, Firenze e Milano – e che deve riuscire a leggere il cambiamento che ci travolge.

Nei quotidiani esiste da sempre il mestiere del critico, che forse tra i tanti modi di esercitare la professione è il più spassoso e il più soddisfacente. Ma quando si parla di grandi sfide, quando si parla di cambiare le cose, il mestiere del critico non basta. Certamente i giornali devono sapere e potere criticare, ma non possono limitarsi ad appoggiare una spalla indolente allo stipite della porta e attendere di vedere dai bordi della stanza il primo che fallirà.

L’unico modo per cambiare le cose è restare dentro le cose. Fino al collo. Questo è l’obiettivo per i nostri quotidiani. Che significa innanzitutto portare a termine la grande rivoluzione industriale del settore: integrare carta stampata e digitale ha il peso specifico che due secoli fa ha avuto il passaggio dalla macchina del vapore al motore a scoppio. Trasformarsi è difficile e costoso. Ma la storia non ci offre più alcuna alternativa, non ammette più ritardi né pigrizie. E questo riguarda noi, solo noi, da vicino.

Poi c’è l’altro aspetto, quello che resta il più importante di tutti, quello che riguarda voi lettori. E che ci impone l’interrogativo al quale non possiamo sottrarci: a che cosa servono, oggi, i nostri quattro grandi e antichi quotidiani? Raccontare la realtà non è forse mai stato così difficile. Il Covid e la guerra ci mettono di fronte a rischi che hanno esposto giornali e giornalisti a feroci accuse. La prima: quella di essere spacciatori di verità, o di falsità a seconda dei punti di vista, che polarizzano il dibattito senza fornire vie d’uscita. Ecco: credo una cosa, fortemente. E cioè che per stare dentro al cambiamento sia oggi più che mai necessario sostituire la parola verità con una parola che solo apparentemente suona meno nobile: onestà. L’onestà è più importante e più utile della verità, perché non viene calata dall’alto ma presuppone una responsabilità e un impegno personali. È più umile della verità, perché non si impone sugli altri, ma si offre invece come il punto fermo di un patto che è l’unico autentico e possibile tra giornalisti e lettori. Tra giornale e lettori.

Negli ultimi mesi, negli ultimi anni pericolanti dove ogni certezza sembra destinata a trasformarsi in beffa, chi ha proposto verità universali è stato costretto a smentirsi, o ha finito per dover spudoratamente mentire. Chi ha opposto l’ideologia alla logica è rimasto ben presto senza frecce al suo arco. Ma se i nostri giornali oggi hanno un senso, e ce l’hanno più che mai, è quello di dirvi solo ciò che vedono: che talvolta inevitabilmente non sarà tutto, ma che non può prescindere dall’essere onesto, perfino nell’errore. In fondo i giornali altro non sono che il frutto di continue e precise scelte, dalla prima all’ultima pagina, dal primo all’ultimo articolo. E ogni volta che si sceglie ci si espone al rischio di sbagliare. Per questo il giornalismo è il mestiere col più alto margine di errore, per questo il buon giornalismo è così entusiasmante e così necessario, nel funesto proliferare di sciocchezze, falsità, strumentalizzazioni, manipolazioni, propaganda. E scusate se vi sembrerà poco.