Bolkestein: il rebus delle concessioni demaniali

Il redde rationem (annunciato) è arrivato dopo diciassette anni, una procedura di infrazione europea e tre sentenze del Consiglio di Stato

Il redde rationem (annunciato) è arrivato dopo diciassette anni, una procedura di infrazione europea e tre sentenze del Consiglio di Stato. L'ultima, quella della sesta sezione, ha messo una pietra tombale sulle velleità (o speranze) dell'ennesimo governo di rinviare l'applicazione della direttiva europea Bolkestein sulla concorrenza (datata 2006) alle concessioni demaniali.

Non si possono prevedere proroghe (neanche al 2024 per la mappatura del demanio), le concessioni scadranno il 31 dicembre 2023 e dovranno essere messe a gara, hanno sentenziato i giudici bocciando la decisione del Comune di Manduria di rimandare le aste fino al 2033. Originale, ma non troppo: lo stesso aveva provato a fare il governo Conte nel 2019. E dunque toccherà obtorto collo all'esecutivo di Giorgia Meloni di fare i conti - e subito - con la Bolkestein e i 12.166 concessionari italiani, la spina dorsale del turismo balneare. Sì, ma in Italia come ha funzionato finora? Diciamo che il rinnovo delle concessioni demaniali marittime è stato praticamente automatico, anche grazie al cosiddetto diritto di insistenza previsto nel Codice della navigazione del marzo 1949, che regola la materia. Il diritto di insistenza garantiva al concessionario, in quanto tale, la certezza di essere preferito ad altri nell'assegnazione del bene pubblico. Garantiva, però. Perché dal 2009 è stato soppresso sotto la minaccia di apertura di una procedura di infrazione Ue perché in contrasto con i principi di imparzialità e trasparenza posti dalla Bolkestein alla base delle evidenze pubbliche di assegnazione delle concessioni. E da allora si è entrati nel campo dei vedremo e dei faremo, ovvero della classica melina all'italiana che guarda all'oggi senza badare al domani, finendo per promettere barricate improponibili invece di governare il fenomeno, l'unico modo per mettere davvero in sicurezza il settore. E dunque tocca al governo, anche perché l'incertezza ormai non giova più a nessuno, né a chi ha fatto investimenti sulle spiagge, né a chi intende farli. Come? Bella domanda, che pone non poche difficoltà. Le maggiori sono legate al poco tempo a disposizione e alla necessità di garantire regole chiare e uguali per tutti, senza fare confusione e pasticci, così come al bisogno di tutelare in qualche modo gli investimenti fatti dai concessionari, specie in caso di perdita della concessione. Intanto si può buttare un occhio a cosa succede all'estero, ad esempio in Portogallo, dove la normativa sul demanio pubblico distingue tra licenze e concessioni (75 anni) e prevede una sorta di diritto di prelazione per il concessionario, da esercitare entro 10 giorni dall'aggiudicazione concorsuale della concessione. In Grecia funziona il principio delle aste pubbliche, ma gli hotel fronte spiaggia possono ottenere autorizzazioni annuali a esercitare l'attività in deroga alla normativa, che stabilisce anche la possibilità dell'affidamento diretto in leasing delle spiagge per fini turistici, commerciali e ricreativi. In Spagna dal 2013 vale la cosiddetta proroga straordinaria e selettiva delle concessioni: prima va cioè fatta una sorta di valutazione ambientale degli effetti della concessione sullo stato dei luoghi e sulla protezione del demanio pubblico.