Dicono che certe notti quando il vento soffia dai primi contrafforti e si dirige impetuoso giù verso la pianura si avverte un sibilo musicale che assomiglia ad una voce lontana, non lamentosa, ma dal tono sicuro come di qualcuno che si sente padrone della foresta. Non c’è prova provata, il racconto rimbalza di bocca in bocca senza mai individuare chi abbia incrociato direttamente quella strana armonia che esce dai boschi, ma per chi ci crede è la voce del fantasma del Passator Cortese, al secolo Stefano Pelloni ( Boncellino di Bagnacavallo 4 agosto 1824 - Russi 23 marzo 1851), il brigante che ha terrorizzato e affascinato e divide ancora oggi la Romagna. E a duecento anni dalla nascita del bandito più famoso di queste terre, non si sa mai dove finisce la leggenda che si alimenta sempre di nuove sfumature e comincia la realtà. Criminale violento e spietato oppure Robin Hood che rubava ai ricchi per dare ai poveri in uno scenario di esproprio proletario ante litteram? Su questo interrogativo ancora oggi gli storici e il popolo di dividono, c’è chi tifa per l’una o per l’altra versione in una narrazione dove forse la verità, che nessuno riuscirà mai a provare, sta a mezza via. Se uno sfoglia la carriera della banda Pelloni, oltre alle rapine e ai sequestri emergono violenze inaudite, omicidi, stupri. La banda non andava per il sottile. Eppure la Romagna celebra il Passator cortese nelle etichette del vino rosso come il sangue e forte di carattere, ne concede il titolo ad una gara podistica, la 100 chilometri del Passatore con partenza da Firenze e arrivo a Faenza, alcuni ristoranti ne hanno adottato il nome a Ravenna, Cervia, Sogliano al Rubicone, Santarcangelo di Romagna, come anche una banda musicale. Perfino il Caplazz, il cappellaccio a falde larghe, ampio e stropicciato simbolo di una vita avventurosa che compare in tanti disegni, divenne di moda e fu indossato da attrici e donne dello spettacolo. Molti arricciano il naso, pensando che così si celebra un delinquente.
Il giovanissimo Stefano Pelloni, già animo inquieto e turbolento, entrò in una scuola privata per diventare sacerdote, ma ne uscì bandito. Il mito del Robin Hood, del criminale buono, deriva dal fatto che spesso Il Passatore distribuiva parte del bottino prelevato a possidenti e nobili a contadini e famiglie povere delle campagne. Vero, ma succedeva prevalentemente con i fiancheggiatori. Era un welfare selettivo. Il mito venne lanciato soprattutto dal poeta Giovanni Pascoli che nell’ ode Romagna scrisse : “Sempre un villaggio, sempre una campagna mi ride al cuore (o piange), Severino: il paese ove, andando, ci accompagna l’azzurra vision di San Marino: sempre mi torna al cuore il mio paese cui regnarono Guidi e Malatesta, cui tenne pure il Passator cortese, re della strada, re della foresta...”. Anche il poeta Arnaldo Fusinato rimase folgorato dal fuorilegge buono che anche Giuseppe Garibaldi ammirava. Stefano Pelloni, acquisì il soprannome di Passatore mutuandolo dal padre che di mestiere faceva il traghettatore sul fiume Lamone. Nel periodo in cui lavorò col genitore imparò a conoscere ladri, contrabbandieri, rapinatori. Fu il suo corso di studi da brigante. Il destino era quello di leader e verso il 1847 riuscì a fondere due bande, quella di Giuseppe Afflitti e Francesco Babini. Il romanzo criminale del figlio del traghettatore era già sulla bocca di tutti. La gendarmeria impazziva nella caccia al gruppo che operava nelle Legazioni pontificie (Bologna, Forlì, Ferrara e Ravenna). I banditi colpivano e sparivano fra inseguimenti e sparatorie. Rimasero famosi otto in rapida sequenza: Bagnara di Romagna, Cotignola, Castel Guelfo, Brisighella, Longiano, Consandolo, Forlimpopoli, Castrocaro. Assalivano abitazioni, uffici pubblici, diligenze sbaragliando le guardie pontificie . Alle loro spalle una scia di morti e feriti. Chi si metteva contro veniva fatto fuori.
L’impresa più clamorosa fu l’assalto al teatro di Forlimpopoli, il 25 gennaio 1851. Venti briganti fecero irruzione durante l’intervallo dopo aver catturato e legato i pochi soldati e gendarmi che presidiavano la cittadina. Su il sipario e canne dei fucili in faccia agli spettatori tutti eleganti e ingioiellati. “Nessuno si muova o siete morti”. Urla, donne svenute, terrore in diretta. I ricconi presenti furono ripuliti insieme alle mogli di denaro e preziosi, poi alcuni di loro vennero prelevati e mentre una parte del gruppo teneva sotto sequestro l’intero teatro alcuni briganti li accompagnarono nelle loro case per far piazza pulita anche qui . Inoltre usarono gli ostaggi per farsi aprire la porta di altre famiglie facoltose. E fu così che si consumò il colpo a casa del critico letterario e inventore della cucina italiana Pellegrino Artusi. All’irruzione prese parte anche un prete, che tra un’Ave Maria e un Pater noster, imbracciava il fucile con il Gobbo, Zappolone, Lisagna, Caprino, Camminazzo. La sorella di Pellegrino, Gertrude Artusi, fu violentata da uno del clan e in seguito alla notte di terrore divenne pazza e morì in manicomio a 47 anni. Sul Passator cortese pendeva una taglia sontuosa e come altri grandi banditi della storia lo presero perché fu tradito da uno dei suoi fedelissimi, non si è mai capito se in cambio dell’impunità o della ricompensa. Avrebbe potuto nascondersi nelle forre dell’Appennino ma il Passatore preferiva starsene nei covi vicino a casa, forse per sfida o per poter saltare da un letto all’altro di belle signore. E così Giuda lo incastrò. Nel giorno fatale le guardie lo circondarono in un capanno di caccia del podere Molese, nelle campagne di Russi. Fine della storia. Il cadavere fu caricato su un carretto ed esibito alla popolazione lungo le strade sterrate dei paesi di Romagna. Eppure il Passator Cortese vive ancora.