Dress-code a scuola. Siamo passati dalle divise ufficiali allo sbraco totale (nel senso letterale del termine: slacciarsi i vestiti per mettersi a proprio agio). E allora, spesso e volentieri, ci si imbatte in istituti scolastici che tramite presidi o insegnanti, decidono cosa debbano indossare, anzi cosa non debbano indossare, gli studenti.
L’ultimo caso si è verificato a Reggio Emilia, al liceo linguistico Matilde di Canossa. Daniele Cottafavi, il preside ha scritto una circolare dal titolo 'Decoro a scuola' e ha messo in fila gli abbigliamenti vietati: i bermuda, i pantaloni corti sopra il ginocchio, le minigonne, le canottiere, la magliette troppo corte, scollate e trasparenti, le ciabatte infradito.
Apriti cielo, è subito scoppiata la polemica. Studenti e associazioni varie hanno protestato al grido di: 'Medioevo alle porte, chiediamo la libertà di vestirci come ci pare e piace'. Il preside ha provato a spiegare: 'Non chiediamo una divisa, ma il rispetto di un abbigliamento adeguato. E’ questione di educazione'. Decoro e decenza, due paroline magiche. Io credo che queste cose, se non c'è la capacità di capirlo senza dover fare una scaletta, debbano deciderlo (fino a prova contraria) i... padroni di casa. E i padroni di casa sono i presidi. Discorso che vale anche, intendiamoci, per gli ambienti di lavoro. Io faccio il giornalista; se mi presento alla riunione di redazione in infradito, penso e spero che i miei superiori mi trattino in malo modo.
Questione di rispetto, educazione e buonsenso. Non di libertà.