MASSIMO PANDOLFI
Editoriale
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Elogio di Inzaghi

Ci sono sconfitte che fanno rumore. E poi ci sono quelle che fanno silenzio. Come un 5-0 in Champions, che non lascia appigli, non offre scuse. Una disfatta piena, netta, dolorosa. Il Paris Saint-Germain ha travolto l’Inter con una superiorità imbarazzante, e a fine partita restava solo da abbassare la testa. O da alzarla.

Simone Inzaghi ha scelto la seconda opzione. E questo, a suo modo, colpisce.

Parliamoci chiaro: al sottoscritto certe sue maniere non sono mai piaciute. In panchina spesso sembra sull’orlo della crisi: isterico, sopra le righe. Agita le braccia, urla, protesta, vive ogni minuto come se fosse il 120’ di una finale. E a volte diventa difficile perfino seguirlo.

Ma a Monaco, in quella serata che avrebbe fatto crollare chiunque, magari ha sbagliato tutto ma è rimasto lì. In piedi. Sempre. Pure nell’ultima mezzora di agonia. Poteva sedersi in panchina: così fan tutti quando la partita è persa. Invece no. A bordo campo. Ormai c’era poco da dire, da incoraggiare, da istruire, Ma stava lì e non è sempre scontato stare lì. Zeru titoli Inzaghi (adesso lo chiameranno tutti così)  non ha lasciato i suoi ragazzi soli: è rimasto al loro fianco, a bordo campo, in piedi. A farsi prendere a randellate dai francesi, sì, come i giocatori. Come i suoi giocatori. Quasi dire: “Sì, stiamo facendo schifo. Ma in questo schifo ci stiamo insieme, io non vi mollo.”

È una scelta fisica, ma anche morale. È il rifiuto della fuga, della distanza, dell’alibi. È l’allenatore che non si separa dalla sua squadra nemmeno quando questa affonda. Nessuna grande frase, nessun gesto eroico. Solo restare lì, sotto la pioggia dell’umiliazione, a condividere la vergogna.

Complimenti, mister Inzaghi