Ognuno per sé, Dio per tutti. Sulla calata dell’eolico nell’Appennino centrale le Regioni vanno in ordine sparso, secondo lo stile della più classica delle baraonde italiane, dove in mancanza di uno Stato che decida per davvero, alla periferia del potere chi amministra si incontra e si scontra sull’orlo di un confine. Accade quindi che la Regione Toscana dia il via libera a un mega impianto eolico nella zona di Badia Tedalda – dove sette aerogeneratori alti 180 metri saranno drizzati contro l’alta Valmarecchia e i paesaggi di Leonardo da Vinci – ingaggiando un braccio di ferro con la vicina Emilia-Romagna, mentre nelle Marche il Consiglio regionale approva all’unanimità una mozione (primo firmatario Giacomo Rossi) contro l’invasione del ‘mega-eolico’ sugli Appennini, per “tutelare i territori montani dall’installazione di centinaia di impianti”, dopo che l’assessore regionale Antonini aveva già chiuso la porta a qualsiasi progetto (“eolico? solo impianti off-shore”).
In questa babele verrebbe da chiedersi in rapida successione con quale sicurezza si possano programmare investimenti nel settore delle rinnovabili, ma anche con quali (reali) garanzie le comunità appenniniche possano guardare alla tutela dei loro paesaggi da decine di progetti già in fila al Mase che investono il crinale al confine tra Marche, Umbria, Toscana ed Emilia-Romagna. Un orizzonte senza confini, dove vento, cielo e panorama sono di tutti.
Vale la pena di ribadire che le rinnovabili sono sì il futuro dell’energia, e ci mancherebbe altro, ma da maneggiare con cura e cautela, senza frenesia, pregiudizi né confusione. Altrimenti rischiamo il paradosso di massacrare l’ambiente in nome dell’ambiente e dell’ambientalismo senza se né ma. Ecco, questo succede quando si oltrepassa il sottile confine tra opportunità (sacrosanta) e speculazione, e gli incentivi rischiano di diventare deregulation. Anche la corsa alle rinnovabili va governata. Appunto.