Giuseppe Fanin, l’esempio di un martire

La lettera. Risponde Beppe Boni

Bologna, 12 maggio 2023 – Ho letto l’articolo dedicato a Giuseppe Fanin. Mio padre, Corrado Capponcelli, faceva parte dello stesso sindacato di cui Fanin era leader e ne ricordava la competenza, nonché il pericolo in cui il gruppo operava. Forse non dotato dello spirito eroicamente cristiano di Fanin, si protesse salvando la vita. Fanin no e lo uccisero. Mio padre riposa al cimitero di Castagnolo. Lì vicino è sepolto uno di coloro che colpirono Fanin. Uscì prima dal carcere per il perdono della famiglia della vittima che ormai dovrebbe essere riconosciuto dalle parti di quel tragico periodo.

Laura Capponcelli

Risponde Beppe Boni

Il perdono dei Fanin verso chi uccise il loro familiare è un grande esempio di pacificazione e nello stesso tempo di fede cristiana. E allora ricordiamo chi era Giuseppe Fanin, celebrato come beato nel 2005, attivista cattolico delle Acli, sindacalista inviso ai comunisti di fascia più estrema negli anni del dopoguerra. Era un periodo di roventi tensioni. In quelle settimane la Cisl aveva rotto con la Cgil. Lo stesso Fanin, accusato di stare dalla parte degli agrari, fu più volte minacciato, ma egli tirò diritto, certo del proprio dovere e della trasparenza delle proprie azioni. Non era così per i suoi avversari. Il 4 novembre 1948, una sera di nebbia fitta come il latte, lungo la strada per Lorenzatico a San Giovanni in Persiceto venne rinvenuto il corpo di Giuseppe Fanin ridotto a una maschera di sangue. Morì nella notte in ospedale. Subito si pensò ad un incidente, ma la verità venne a galla. Tre energumeni ingaggiati dai vertici del Pci locale lo aggredirono a sprangate per dargli una lezione. Ma lo uccisero. Dopo circa tre settimane di indagini, il segretario della sezione PCI di S. Giovanni in Persiceto, arrestato ed interrogato dai carabinieri, confessò di essere il mandante dell'omicidio e rivelò i nominativi dei tre esecutori materiali. I quattro furono condannati, ma non scontarono tutta la pena per vari motivi, compreso il perdono della famiglia Fanin. Nel 2003 in un’intervista l’unico sopravvissuto del quartetto a quell’epoca si disse pentito. “Fu errore, non doveva andare così. Povero ragazzo....”. Nella memoria collettiva rimane la coerenza di Giuseppe Fanin, vittima di un clima di violenza di chi allora pensava che dopo la parentesi del fascismo il comunismo fosse la soluzione di tutti i mali, da attuare ad ogni costo. beppe.boni@ilcarlino.net voce.lettori@ilcarlino.net