Editoriale

Il Paese crolla, va ricostruito. Ora o mai più

Si contano i danni. Si contano, purtroppo, i morti. E non è ancora tempo di leccarsi le ferite: bisogna correre, soccorrere. In 24 ore, in 24 stramaledette ore, l’Emilia Romagna è finita in ginocchio. Sì, proprio (e anche) la moderna ed efficiente Emilia Romagna: i cambiamenti climatici, chiamiamoli pure così, non fanno più sconti a nessuno. Gridiamo alla siccità, al Po che sta morendo, all’acqua che manca e dopo 24 ore mezza regione affoga. Siamo tutti uguali di fronte alla natura che si arrabbia. Tutti più che mai vicini, appiccicati: da Palermo a Bolzano. Neanche otto mesi fa l’apocalisse si scatenò nelle vicine Marche e l’inferno fu ancora peggiore. Ma è come giocare ai dadi: sta capitando democraticamente a tutti alla lotteria della natura nel Belpaese. E noi ora ripetiamo in fondo le solite domande che ci inquietano da anni: chi sono i responsabili? Dove abbiamo sbagliato? Cosa si può fare? E poi il consueto tiritera politico: quelli di sinistra chiedono soldi al governo di destra, così come i politici di destra chiedevano soldi ai governi di sinistra. Solita solfa, insomma. Come per i fiumi: gli argini si rompono come cartapesta. Perché? Colpa degli uomini? Delle nutrie? Del Padre Eterno? Colpa di tutti o colpa di nessuno? Buttiamo lì un’idea: visto che siamo così vicini, appiccicati, uguali, proviamo ad abbracciarci anziché prenderci a schiaffoni. Ricostruiamo, insieme, le fondamenta di un Paese che sta franando, cercando di evitare che ognuno degli ‘Io’ che vive dentro di noi si trasformi in Dio. Non dimentichiamoci tutto fra quindici giorni perché, si sa, la vita continua e arriveranno il sole, il caldo, le ferie e andremo tutti in spiaggia. Facciamo memoria: teniamoci in mente, anzi nel cuore, le immagini di questa via Emilia diventata all’improvviso un fiume in piena. Con tanta gente disorientata, disperata, in lacrime e fuori di casa. Questa gente merita silenzio, rispetto, lavoro.