Editoriale

Il tormentone Pd

In media il Partito democratico, nato nel 2007, cambia segretario ogni anno e mezzo. Da Walter Veltroni ad Elly Schlein, ne abbiamo viste in quindici anni e mezzo un po' di tutti i colori. Non ci è mancato nulla, neppure i reggenti (Epifani, Orfini e poi Martina che da reggente fu promosso titolare). Quindi: va bene il giochino di politologi, esperti del lunedì e in fondo anche noi giornalisti ancora scatenati su cosa succederà domani. Il problema è che, con i tempi attuali della politica (tutto si brucia in un attimo), non si capisce nulla e le previsioni vanno a ramengo. Non decifriamo l'oggi, figuriamoci il domani. Dopo (e ora è dopo), è facile dirlo: ma anche domenica mattina, solo domenica mattina, chi avrebbe scommesso cento euro sulla vittoria della Schlein o se volete sulla sconfitta di Bonaccini? E comunque, tornando ai tempi del Pd, se tanto mi dà tanto, e se il governo Meloni arriverà alla scadenza naturale del mandato, non sarà la Schlein a giocarsi la prossima partita elettorale. Se pure lei rispetterà la media, entro la fine del 2024 dovrà fare le valigie. Giusto o sbagliato che sia, le strategie a lungo termine non esistono più. E ora fermiamoci un po'. Si è eletto un segretario di un importante (non più importantissimo) partito politico, non un capo di governo, un presidente della Repubblica o un Papa. Buon lavoro alla Schlein e buon lavoro anche a Bonaccini che tornerà a tempo pieno ad occuparsi della sua Emilia Romagna, mission per cui è anche ben pagato da noi contribuenti. Si consoli l'ora avvilito Stefano: essere presidente di una regione così importante, conta di più che guidare il Pd.