Valerio Baroncini
Editoriale
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Imola fuori dalla Formula 1. Ma non basta la rotazione per fermare le storia

Anatomia di una caduta: Imola perde la Formula 1 sotto i colpi dei petrodollari e di un circus sempre più globale, non a caso scolpito anche con il linguaggio sincopato di Netflix e TikTok. Vanno in fumo un indotto da oltre trecento milioni di euro, alberghi pieni da Bologna alla Riviera adriatica, la passione di 242mila spettatori (un record per questa ultima edizione) e, soprattutto, il romanticismo di una storia scritta dai pionieri del mutòr, declinando il religioso attaccamento agli idrocarburi (ora più elettrico) della Romagna e dalla Motor Valley.

Ci sono storie che si perdono nella leggenda e questa, se non nella leggenda, ha radici nel mito. Qualcuno racconta che Checco Costa, il fondatore, prese il figlio Claudio (il dottor Costa della Clinica Mobile) per le gambe e lo trascinò sulla terra rossa tra la Tosa e via dei Colli, come si fa proprio al mare, abbozzando il primo autodromo. In realtà ci fu una notte d’estate, sulla fine degli anni Quaranta, in cui Costa e alcuni amici, camminando nella stessa zona sopra il fiume Santerno, disegnarono davvero un circuito: Tosa, via dei Colli, Piratella, le Acque Minerali. Era il 1947. In breve tempo iniziò il sogno: le Coppe d’Oro, la 200 Miglia, la F1 dal 1980, le moto. Croce e delizia: il 1994 tragico delle morti di Roland Ratzenberger e il più grande di tutti, Ayrton Senna; i successi di Michael Schumacher; la rivalità con Monza e lo stop nel 2006; ma anche il ritorno nel 2020 del Covid, fino a oggi, quando l’autodromo Enzo e Dino Ferrari esce per far spazio a due gare in Spagna e tre negli Usa oltre al tour asiatico e a quello degli sceicchi.

È finita? No, non è finita, dice Stefano Domenicali, ceo della F1 a trazione americana e, ironia del destino, imolese doc. Il Gp del Santerno (con le sue salite antiorarie e pionieristiche lodate da tutti i piloti di oggi) è prima riserva per il 2026, magra consolazione. Una gara costa 60 milioni. La speranza ora è la rotazione fra i Gp storici di un’Europa che, come sullo scenario globale, si fa sempre più piccola, schiacciata e ‘antica’: Imola, Spa, l’Olanda, la Francia, la Germania. Ma lo sport, che è fatto di eroi, di lacrime, di cuori, può piegarsi a una rotazione e cedere a una calcolatrice? Davvero Imola, l’Emilia-Romagna e il Paese non meritano un palcoscenico ampio? La politica – ieri la cronaca ha registrato le solite piccolezze – farebbe meglio a lavorare unita. Ai cittadini, ai tifosi e alla storia le polemiche non interessano.