MATTEO NACCARI
Editoriale
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La nuova Hera

Il 27 aprile l’assemblea dei soci della multiutility Hera ha rinnovato il Consiglio di amministrazione. Nuovo presidente è Cristian Fabbri, che prende il posto di Tomaso Tommasi di Vignano, che ha concluso il suo mandato, giunto alla scadenza naturale dopo oltre 20 anni alla guida del Gruppo. La storia di Hera è quella di Tommasi. A lungo resterà ancora lui il presidente, con buona pace di chi sarà eletto al suo posto. Non sulle carte ufficiali, certo, ma nella testa degli oltre 9mila dipendenti del Gruppo, degli azionisti e di chiunque negli ultimi due decenni ha avuto a che fare con questa realtà che gestisce energia, acqua e rifiuti nel nord ovest italiano. Va detto, perché il manager lombardo, classe 1947, che ha cresciuto la multiutility fin dal suo primo vagito in Borsa, è sempre stato il solo e unico presidente – diversi gli amministratori delegati, invece -: con lui questa società, che aveva radici solo in Emilia Romagna, si è allargata alle Marche, al Triveneto e alla Toscana.

Alla fine del 2002 salì alla guida del risultato finale di una fusione a freddo di micro utility che spaziavano da Bologna alla Romagna, quel mosaico di municipalizzate come Seabo, Acea, Unica, Team e così via che zavorravano i bilanci dei Comuni azionisti. Regista della grande alleanza il sindaco bolognese Giorgio Guazzaloca che trovò sponda nei colleghi romagnoli: tutti uniti per dare una scossa e finalmente contare su un’azienda che macinasse utili. Per comandare fu appunto scelto Tommasi che dal 2 novembre - del 2002 - non ha mai lasciato la poltrona fino ad ora. Aveva alle spalle esperienze nelle telecomunicazioni, essendo stato in prima linea nella nascita di Telecom Italia, e in quello delle utility, in territorio triestino, ottime capacità di mediatore (non tutti erano convinti dell’operazione) e soprattutto pochi legami coi giochetti locali di potere. Aveva carta bianca ed era libero di agire come voleva, a suo rischio e pericolo, con la missione di trasformare aziende al servizio dei piccoli amministratori locali – gestite spesso in modo ruspante – in una società strutturata che potesse stare sul mercato, seducesse gli investitori privati (che adesso sono in maggioranza), con servizi all’altezza di un territorio evoluto come quello dove era stata fondata.

Alla quotazione in Borsa è seguita negli anni prima l’entrata in Hera di altre municipalizzate, da Ferrara a Modena a Pesaro, poi la stagione delle grandi intese, con in testa la fusione con la multiutility padovana-triestina Acegas-Aps, e infine il tourbillon delle mega trattative – mai andate in porto - per creare un super campione nazionale, unendo tra loro colossi come la romana Acea, l’altra emiliana Iren o la lombarda A2A. Da lì anni di consolidamento delle posizioni, piccole acquisizioni per allargare il perimetro, come ha sempre sottolineato il presidente, strategia che è ormai un filo conduttore quotidiano di ogni mossa. Hera, non ha mai smesso di ricordare Tommasi, è stata una scommessa vinta, una grande realtà che però – così come le altre importanti multiutility italiane – non ha ancora deciso cosa diventare appunto da grande. Orazio Iacono, da un anno amministratore delegato, esperienze alle spalle nei trasporti, ha spiegato che Hera spingerà su idrogeno e biometano, che ora dai rifiuti arriva il 70% dell’energia elettrica, insomma che si lavora sull’energia pulita con bilanci in salute (l’utile lo scorso anno è salito dello 0,8% a 372 milioni). Ricette per irrobustirsi, ma non per il vero salto di qualità, una nuova scossa dopo 20 anni. Che arriverebbe solo col ritorno sul tavolo dei manager – e della politica - dei dossier ‘super aggregazioni’.

Da chi controlla Iren, A2A e Acea negli ultimi mesi sono arrivati timidi segnali di apertura verso un confronto che preveda la nascita di un super campione nazionale che possa mettere piede – finalmente - fuori dai confini nazionali. Una fusione a quattro sarebbe il massimo, più probabili saranno intese sui singoli settori, come nell’acqua o nei rifiuti. La parola passa al nuovo presidente Fabbri, manager interno. Scelta di continuità, appunto, però dopo due decenni c’è chi si aspetta - gli investitori - una nuova accelerata. Senza Tommasi, che per tanti sarà difficile da dimenticare (e da eguagliare).