Bologna è ormai una città a vocazione turistica. Basta guardare le file di visitatori che, tutti i giorni, si formano per sbirciare dalla finestrella di via Piella o per salire sulla torre degli Asinelli. Ma anche il movimento che si crea per le fiere di settore, come con il Cosmoprof in questi giorni. Fiumi di persone che, poi, si riversano nei ristoranti, nei bar, nei locali: assaggiano, mangiano e bevono le prelibatezze dell’enogastronomia bolognese. Fanno shopping nei negozi e dormono negli alberghi e nelle strutture ricettive. Numeri che – con la Pasqua in arrivo – giustificano, dunque, la grande fame di lavoratori delle imprese. Le quali prevedono di assorbire oltre i due terzi del totale dei lavoratori cercati nel trimestre (attorno alle 25mila unità, numero sostanzialmente stabile, dopo la fine della pandemia). Eppure, questi lavoratori non si trovano. Un problema più di candidature disponibili (per il 34,5% delle ricerche andate a vuoto) che di effettiva scarsa preparazione dell’aspirante lavoratore (solo nel 10% circa dei casi). Anche perché nel caso di ristoranti, bar, alberghi non stiamo parlando di tecnici specializzati (quello è un altro capitolo), ma di mansioni che–- non sempre (il cuoco è ricercatissimo...), ma spesso – non richiedono particolari titoli di studio. Insomma, qui sono proprio i ragazzi a non presentarsi, nonostante i datori siano disponibili a formarli, avviandoli a mestieri anche molto richiesti (i panificatori, ad esempio). Eppure in tanti si lamentano: non c’è lavoro. Cosa manca, allora? Di sicuro, c’è una carenza di comunicazione tra domanda e offerta che le associazioni (partendo dall’Ascom) stanno cercando di colmare con diverse iniziative. Poi, in alcuni casi le paghe non sono invitanti, i contratti precari, i ritmi di lavoro alti, senza riposi nei week end. Mattiamo da parte la retorica dei “giovani che non si sanno più sacrificare”, il rapporto con il lavoro è cambiato. E tanti non sono più disposti a intaccare la sfera personale per seguire aspirazioni professionali. Si tratta di un lascito del periodo di pandemia, ma soprattutto di percorsi lavorativi sempre più frammentati, che non assicurano una progressione certa sia in termini di stipendio sia a livello di responsabilità. Da qui, il tema di rendere attraente una professione, dando prospettive e premiando chi vale. In questo senso il rapporto con le scuole di formazione – a partire dall’Alberghiero – può costituire un primo passo.