VALERIO BARONCINI
Editoriale

Matteo e il Papa, tra 'teneressa’ e fermezza

Prima tappa, l’hub per migranti di via Mattei, l’ex Cie delle vergogne, dei sogni spezzati, delle bocche cucite. La visita di Papa Francesco iniziò da qui l’1 ottobre 2017, tra prefabbricati, braccialettini identificativi e ragazzi e ragazze arrivati da Nigeria, Senegal e Gambia

Prima tappa, l’hub per migranti di via Mattei, l’ex Cie delle vergogne, dei sogni spezzati, delle bocche cucite. La visita di Papa Francesco iniziò da qui l’1 ottobre 2017, tra prefabbricati, braccialettini identificativi e ragazzi e ragazze arrivati da Nigeria, Senegal e Gambia. Un richiamo alla necessità di un nuovo umanesimo nella città dei portici Unesco, ergo dell’accoglienza. Don Matteo, il nostro cardinale Matteo Zuppi, non a caso iniziò la sua vita diocesana parlando di ‘teneressa’, con le ‘z’ diventate ‘s’ emiliane, e portò Francesco nel “porto di approdo di coloro che vengono da più lontano”. Indicazione politica ed esistenziale. Dentro e oltre quella ‘teneressa’. Al Carlino, Zuppi affidò una domanda: “Cosa succederebbe se trattassimo la Bibbia come trattiamo il nostro cellulare? Se la portassimo sempre con noi, se tornassimo indietro quando la dimentichiamo, se la aprissimo diverse volte al giorno, se leggessimo i messaggi di Dio contenuti nella Bibbia come leggiamo i messaggi del telefonino? Credo che cambierebbe tanto delle nostre scelte!”. In questo c’è tutto don Matteo – ormai al giro di boa dei 10 anni in via Altabella – e c’è anche l’eredità del Papa. Un nuovo umanesimo che parte dagli ultimi e che, non è un caso, si è fortificato qui, a Bologna la città che per prima proclamò l’abolizione della schiavitù e liberò i servi della gleba. Francesco quel giorno chiamò i ragazzi “lottatori di speranza”, ma li richiamò ai doveri esortandoli a “essere aperti alla cultura delle città, a camminare sulla strada indicata dalle leggi”. Una visione di “teneressa”, sì, ma anche di fermezza. E molti non lo hanno voluto capire.