Editoriale

Salviamo le botteghe di montagna

Sono una signora di 80 anni e abito a Monzuno, sull'Appennino bolognese, dalla nascita. Ammiro la mia omonima che ha aperto il negozio di abbigliamento e la signora dello yoga, entrambe coraggiose e faccio loro un grande in bocca al lupo.

Non riesco però a capacitarmi di come, a differenza di altri paesi vicini, il mio paesino è andato a morire ogni anno di più forse perché non c’è interesse nemmeno dall'alto di fare qualcosa di utile o almeno provarci. Quando vado in centro mi assale la nostalgia dei tempi passati. Io sono vecchia ma avanti così forse non so come finirà.

Zaira Benni

Risponde Beppe Boni

Molti paesi e borghi dell'Appennino emiliano che non sono direttamente toccati dal turismo invernale ed estivo soffrono lo spopolamento, la carenza di servizi, il disagio dei negozi che chiudono comprese le edicole che sono un servizio pubblico. Chi apre un negozio o un'attività in certe località andrebbe premiato con medaglia d'oro. Gestire un esercizio commerciale in montagna spesso è difficile e assomiglia ad una impresa eroica. Gli aiuti e gli incentivi esistono. Non sono forse risolutivi ma possono aiutare. Come abbiamo già segnalato alcuni mesi fa la Regione Emilia-Romagna sta provando a salvare le botteghe di paese con un progetto di finanziamenti che però, per ora, non è riuscito al cento per cento e che quindi andrà rivisto e sostenuto. Salvare piccoli negozi significa anche mettere un argine allo spopolamento e rendere accettabile la qualità di vita degli abitanti dei borghi, spesso anziani. Sono interessate a questo fenomeno, sempre secondo i dati della Regione, almeno 1.064 aree montane e rurali con meno di 3mila abitanti, proprio a causa della rarefazione degli esercizi commerciali e dei servizi. Nel biennio 2022-2024 solo il 48,25% dei fondi sono stati per ora assegnati. Non bisogna cedere, l'ente pubblico ha il dovere di incentivare gli investimenti privati ove ricorrono le condizioni.

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