Nell’ambito della contro-cultura italiana anni ’70, si registrava il dibattito sulle droghe con la condanna dell’uso di sostanze come eroina e metanfetamine, mentre si domandava la legalizzazione di altre sostanze come la cannabis. Oggi le modalità di prevenzione non sono più orientate solo al divieto ma virano verso la conoscenza. Questo cambiamento dovrebbe diventare insegnamento anche per l’uso del telefonino. Se demonizzo l’uso, l'adolescente non si sente accettato. Penso che vietare non sia corretto. Ed è necessario empatizzare con loro per educarli al corretto uso.
Giovanni Meloncelli, psicologo scolastico e educatore
Risponde Beppe Boni
Il telefono cellulare in mano agli adolescenti (come pure il computer) non è negativo, dipende dall'uso che ne viene fatto. Non sempre i giovanissimi sono in grado di utilizzare il telefono in modo consapevole per via dell'età, quindi dal punto di vista educativo e concettuale non è del tutto sbagliato porre delle regole rigide anche in base agli anni e alle situazioni. Sul divieto di uso fino a una certa età si può discutere, ma in questa scelta drastica ci sono motivazioni di buonsenso. Pur facendo un paragone azzardato si può dire che anche la patente di guida ha dei limiti e si acquisisce a 18 anni. Il divieto dipende anche dalle circostanze. Un esempio. Il Liceo Malpighi ha anticipato la circolare del ministro dell'Istruzione Valditara, dando lo stop ai cellulari nelle aule già da due anni. Un’esperienza che secondo i vertici dell'istituto ha portato risultati positivi, smentendo chi vede nel divieto un atto anacronistico. L'assenza dei dispositivi ha favorito le relazioni interpersonali, migliorato l’ambiente scolastico e secondo la ricerca di due psicologhe sono quasi spariti i casi di cyberbullismo e è stato ottenuto un miglioramento delle relazioni sociali tra gli studenti. Regole rigide che però comprendono anche un percorso educativo. Su questo tema una scienza esatta non esiste, quindi bisogna avanzare per tentativi.