Editoriale

Titolo: Derby ti odio (no, ti amo)

Lei avvolta nella bandiera dei Colchoneros, lui in quella dei Blancos. Immortalati mano nella mano mentre si dirigono verso lo stadio Meazza di Milano, dove il 28 maggio 2016 si disputa la finale di Champions League tra Atletico e Real, derby di Madrid. Non è dato sapere se il loro amore abbia resistito alla vittoria del Real, o si sia frantumato sul rigore decisivo realizzato da Cristiano Ronaldo. Di certo, però, la foto dei fidanzati con i cuori in conflitto calcistico, è un lampo della memoria che si proietta sui due derby di Milano.

La notte del 16 maggio si saprà chi, tra Milan e Inter, disputerà la finale di Champions League il 10 giugno a Istanbul. Il derby è il momento di massima condivisione spirituale nel rapporto tra tifosi e giocatori. Reciprocità totale. "In tanti per strada, al bar, al supermercato mi chiedevano, quasi mi imploravano di eliminare l'Inter. E io la notte non dormivo, non per paura delle partite ma perché mi tormentava il pensiero che avrei potuto deludere i nostri tifosi", ha raccontato Rino Gattuso ricordando la doppia semifinale di Champions di venti anni fa.

Da allora sono cambiati scenari e protagonisti, ma le emozioni sono le stesse; molte di più della pioggia di milioni di euro che confluiranno nelle casse delle due società. Ogni tifoso, rossonero e nerazzurro, ha già messo in pratica la propria strategia di avvicinamento alle sfide, tra studio dell'avversario, scaramanzie, formazioni fatte e rifatte.

La tifoseria gioca e i calciatori lo sentono. Non si trattava della vigilia di un derby, ma Alan Shearer - il più forte attaccante inglese di tutti i tempi - ha detto più volte che sulla decisione di rimanere a Newcastle e rifiutare la maxi offerta del Manchester United, ebbe un peso importante l'incontro con alcuni giovani operai. "Lavoriamo tutta la settimana e mettiamo i soldi da parte per comprare i biglietti e venire allo stadio per vederti giocare. Per favore, non te ne andare".