Valerio Baroncini
Editoriale
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Uno Bianca, giustizia totale per i dimenticati e per chi resta

Se il diritto penale si fa totale, se viene invocato in ogni situazione come intervento salvifico, se diventa politicamente e mediaticamente remunerativo – come scriveva con preveggenza il compianto professor Filippo Sgubbi –, se si mischia con il giustizialismo e le iperboli del tubo catodico, allora la cronaca (giudiziaria e non solo) rischia collassi pericolosi. La scia di sangue e dolore generata dalla banda della Uno Bianca è stata in questi giorni al centro del dibattito ed è doveroso dunque riflettere sul senso di vicende lontane e tanto strazianti e sul perché di tanta attenzione. Da una parte c’è stato il lavoro degli inquirenti sui vecchi delitti (da via Volturno a Castel Maggiore fino al Pilastro, si cercano complici e qualche primo riscontro emerge), dall’altra l’intervista di Francesca Fagnani a Eva Mikula in ‘Belve Crime’.

Rileggere quanto è avvenuto con onestà intellettuale, cercare nuove piste con l’ausilio delle nuove tecnologie, chiarire punti ritenuti in parte oscuri (come il tema dei registri dell’armeria di via Volturno o delle distonie sulla notte del Pilastro o, ancora, su complicità tutte da provare) è un approfondimento che nulla ha del ‘totalitarismo’ penalistico di cui sopra. E’, anzi, doveroso nei confronti delle vittime e dei familiari delle vittime. Non mostra invece alcun rispetto delle vittime e dei loro familiari Eva Mikula con una richiesta di scuse non meglio identificata e un presunto e non chiaro riferimento all’istigazione al suicidio. Quando il diritto penale si fa totale ed entra il funzione il carrozzone delle telecamere, sono le vittime e i loro familiari, chi resta e chi non c’è più insomma, a finire dimenticati o, addirittura, accusati. Inaccettabile: Fagnani, nel momento giornalistico ‘migliore’, lo ha ricordato più volte alla Mikula. In questa storia non c’è stata salvezza, né redenzione. Si può, però, cercare per un’ultima volta la giustizia, quella sì, totale.