Sentenze chiare, la politica sia più matura

Chiariamo subito: c’è un doppio binario nel dibattito-farsa (sì, farsa) cannabis-Santori. Uno riguarda il sistema penale; l’altro quello amministrativo. Quello penale: chiunque minimamente frequenti le aule giudiziarie o si occupi del tema droga e dipendenze, sa che la coltivazione domestica di piante (non la serra con strumentazione ‘anni Novanta’, per intenderci) non è equiparata alla detenzione a scopo di spaccio. Le Sezioni unite della Cassazione si sono più volte espresse in questo senso: nel 2019 (numero 12348) e nel 2021 (numero 2388). In un caso si spiega come le tecniche rudimentali, lo scarso numero di piante, il modesto quantitativo di prodotto ricavabile e la difficoltà nel dimostrare l’eventuale spaccio, non lascino spazio che all’uso personale del coltivatore. Nell’altra si conferma la tesi spingendo sul principio di inoffensività di chi tiene le piantine. Sarà comunque la procura a valutare gli esposti, ma è chiaro che è più semplice dimostrare l’uso personale del traffico di droga. L’aspetto amministrativo, invece, è più interessante: da un lato per l’eventuale tema della segnalazione come assuntore; dall’altro per la responsabilità che si richiede a chi ci governa. Ed è una verità scientifica, incontrovertibile, che non esistano droghe leggere o pesanti. Sono tutte droghe con effetti deleteri, in particolare sui giovani, e il rischio e la gravità con cui si manifestano come patologia sono individuali. Qui non si parla di farmaci. La farsa dimostra quanto la politica sia in ritardo su temi così delicati e, come spesso accade, la spinta giudiziaria abbia anticipato quella legislativa. Dimostra anche quanto certi amministratori siano immaturi, soprattutto in un momento in cui è in discussione una proposta di legge sul tema. Tutto questo ci riporta allo stagnante schema del Sì-No, bianco-nero, pro-contro. Senza considerare la realtà. Le norme. Il buon senso.