
Nel territorio regionale ci sono aree, soprattutto quelle appenniniche, dove la carenza di medici di famiglia sta diventando allarmante
Bologna, 21 maggio 2025 – Nel territorio emiliano-romagnolo mancano 1.434 medici di medicina generale con intere zone, soprattutto quelle appenniniche, dove i cittadini devono percorrere chilometri e chilometri per raggiungere uno studio medico.
Regione ha indetto un bando al fine di coprire le aree carenti che, ricordiamo, non sono solo quelle più isolate, ma sono numerose anche all’interno delle città, con quartieri senza medici di base in quanto ritenuti poco appetibili perché ‘difficili’, ma gli iscritti al bando sono solamente 349, nemmeno un quarto di quelli che servono realmente.
Un numero che potrebbe anche scendere visto che molte volte i professionisti si iscrivono a più bandi poi decidono di aderire a quello che ritengono più conveniente, sempre se nel frattempo non sono arrivate proposte lavorative in altri ambiti sanitari o addirittura da altre regioni del Paese.
La carenza di medici di medicina generale costituisce un serio problema alla riorganizzazione sanitaria che il presidente della Regione, Michele de Pascale e l’assessore alle Politiche per la salute, Massimo Fabi, hanno collocato tra i primi punti del programma di mandato.
Sono infatti i medici di famiglia che dovrebbero costituire le Aft, le Aggregazioni funzionali territoriali, creando una rete di assistenza domiciliare attiva sette giorni su sette, con strumentazione diagnostica in grado di agevolare il paziente effettuando esami e diagnostica di base sul posto (si pensa alla Case di comunità), quindi snellire anche le liste d’attesa.
La nota dolente continua a essere la carenza di personale che affligge anche le strutture ospedaliere, soprattutto nella parte infermieristica.
"I medici non vogliono lavorare dentro questo nuovo modello ibrido, insostenibile e imposto senza confronto – afferma lo Snami (Sindacato nazionale autonomo medici italiani) -. Un disastro che poteva essere ampiamente previsto: è l'effetto del cosiddetto ruolo unico di assistenza primaria, introdotto nel nuovo accordo collettivo nazionale. Un modello che cancella ogni distinzione tra medico di famiglia e medico di continuità assistenziale, obbligando i professionisti a turnazioni complesse, carichi di lavoro mal distribuiti e perdita di autonomia organizzativa. E lo fa senza garanzie, senza tutele tipiche del lavoro dipendente a cui somiglia, pur nominativamente chiamato convenzionato”.
Secondo il sindacato di categoria si assiste anche a “una nuova forzatura: i colleghi che hanno iniziato il percorso formativo per diventare medici di medicina generale si trovano improvvisamente e arbitrariamente trascinati dentro questo modello, senza che sia mai stata loro prospettata una tale trasformazione al momento della scelta. È una violazione del patto generazionale, oltre che del buonsenso".
La conseguenza, pronostica il sindacato, è che "inizieranno a comparire, inevitabilmente, studi privati di medicina generale: ambulatori liberi professionali, più flessibili, accessibili, in grado di offrire condizioni dignitose per i medici".