Emilia Romagna: frane in Appennino, le cause spiegate dal geologo Soldati

Il docente Unimore è considerato uno dei massimi esperti di frane " L’abbandono della montagna può contribuire a favorire il dissesto, ma queste precipitazioni hanno segnato anche zone ben mantenute"

Modena, 2 giugno 2023  – Le piogge intense dei giorni scorsi con una serie di movimenti franosi in Romagna e che hanno interessato anche il nostro Appennino hanno alzato l’attenzione sul rischio idrogeologico. Ne parliamo col professor Mauro Soldati, ordinario di Geografia fisica e Geomorfologia e docente di Geomorfologia e cambiamenti climatici e Georischi e protezione civile al dipartimento di Scienze chimiche e geologiche di Unimore.

Già presidente dell’Associazione Internazionale di Geomorfologia (IAG) dal 2017 al 2021, attualmente è presidente dell’Associazione Italiana di Geografia Fisica e Geomorfologia (AIGeo). E’ considerato uno dei massimi esperti della relazione tra frane e cambiamenti climatici e autore di numerose pubblicazioni scientifiche.

Il professor Mauro Soldati in montagna insieme a un gruppo di studenti
Il professor Mauro Soldati in montagna insieme a un gruppo di studenti

L’Appennino ha rivelato con le frane una sorprendente fragilità. Perché?

"La suscettibilità dell’Appennino emiliano-romagnolo ai fenomeni franosi non è una novità. Già nel 2007 il rapporto sulle frane in Italia di Ispra censiva oltre 70mila frane nel territorio della nostra regione. Nel rapporto sul dissesto idrogeologico in Italia del 2021, Ispra indicava l’Emilia-Romagna tra le quattro regioni italiane con più elevato numero di famiglie a rischio frana in aree di pericolosità P3 e P4 (le più alte). Le caratteristiche del nostro territorio, dove sono ampiamente presenti terreni argillosi, favorisce lo sviluppo di frane che, in caso di piogge intense e prolungate come quelle di metà maggio, possono riattivarsi o innescarsi ex-novo".

Sono fenomeni nuovi o noti?

"Molto spesso le frane avvengono in zone già precedentemente interessate da instabilità dei versanti, ma in questa occasione si è verificato un altissimo numero di dissesti (alcune migliaia), molti dei quali di neo-attivazione. Questo è legato all’eccezionalità delle precipitazioni, che ha pochi eguali da quando si registrano strumentalmente le piogge, circa da metà ‘800".

Le cause sono solo naturali o ci sono altri fattori?

"Le frane sono un fenomeno naturale e l’infiltrazione dell’acqua nei terreni costituisce una delle principali cause di attivazione. Tuttavia, anche le attività antropiche possono avere un ruolo importante nel loro sviluppo. Qualsiasi interazione con i processi naturali di versante può costituire una causa di instabilità più o meno determinante. Anche un semplice taglio stradale su un versante può favorire lo sviluppo di frane, a seguito della modifica della geometria del versante stesso o del deflusso superficiale e sotterraneo delle acque. Non a caso molte delle frane di questi giorni sono avvenute immediatamente a monte o valle di strade".

Qualcuno denuncia tra le cause l’abbandono della montagna e la mancata pulizia dei boschi. È credibile?

"L’abbandono della montagna può contribuire a favorire il dissesto idrogeologico, soprattutto laddove per l’abbandono il terreno rimanga incolto e privo di efficaci opere di drenaggio delle acque superficiali. In occasione di eventi eccezionali come nei giorni scorsi si è, tuttavia, visto che anche zone ben manutenute sono state interessate da significativi dissesti. Riguardo alla pulizia dei boschi risulta difficile generalizzare: giocano un ruolo importante la pendenza del versante e il tipo di roccia affiorante".

C’è rapporto tra cambiamenti climatici e frane?

"Numerosi studi geomorfologici mostrano come nei periodi più umidi della storia geologica recente (mi riferisco agli ultimi 10mila anni) si sia riscontrata una maggiore franosità. Venendo ad intervalli di tempo più limitati e vicini a noi, è indubbio che il verificarsi di precipitazioni intense, situazione che appare sempre più frequente, non potrà che rendere più drammatico il problema di dissesto idrogeologico".

Si possono scongiurare le conseguenze più disastrose?

"Mitigazione e adattamento sono le due azioni chiave da perseguire, tenendo presente che un’efficace prevenzione del rischio da frana deve basarsi su una corretta valutazione della pericolosità, per la quale è necessaria un’approfondita conoscenza geologica del territorio con aggiornamento e/o produzione di carte geomorfologiche di dettaglio e studi geologico-tecnici di sito".