Bologna, 3 aprile 2025 – I dazi statunitensi sono – per dirla con il presidente di Confindustria Emilia – un altro "terremoto" per le imprese emiliane. dopo il sisma del 2012. E del resto, la nostra regione produce bene esporti all’estero per un valore di 10,5 miliardi di euro di beni esportati: collocandosi al secondo posto dopo la Lombardia su scala nazionale.

Emilia-Romagna, seconda in Italia
Al primo posto per la maggiore quota delle nostre esportazioni verso gli Usa c’è è la Lombardia con 13.510 milioni di euro (20,5% del totale nazionale), seguita da Emilia-Romagna con 10.754 milioni (16,3%) e, al terzo posto, c’è la Toscana con 10.251 milioni (15,6%).
Per quanto riguarda le province, al primo posto per export negli Stati Uniti nel 2024 si colloca Milano con 6,1 miliardi di euro, seguita da Firenze (5,7 miliardi), Modena (3,1 miliardi), Torino (2,7 miliardi) e poi Bologna (2,6 miliardi).
I settori nel mirino
Tremano un po’ tutti i settori dell’economia regionale. Ma in coma alla lista ci sono agroalimentare e automotive. Il 75% delle auto esportate negli Usa, infatti, parte proprio dalla Motor Valley emiliana. Del resto, stando alle rilevazioni di Unioncamere Emilia-Romagna, sono 5.788 le imprese in regione che esportano nel paese guidato da Trump e tra i prodotti locali più venduti negli States figurano proprio gli autoveicoli, seguiti da medicinali, macchine e apparecchi di sollevamento e movimentazione, piastrelle, packaging.
Confindustria
Valter Caiumi, presidente di Confindustria Emilia spiega la difficoltà degli imprenditori: "Le scelte che sta facendo Trump avvengono dall'oggi al domani, l'applicazione è immediata, non è facile per un'impresa adattarsi a questa situazione", ha detto.
Per Caiumi "l'Europa manca di strategia, dovremo fare tutto il possibile per mediare, la cosa più importante da fare in tempi brevissimi è investire sul nostro continente".
Confcooperative
"Questa decisione - commenta Francesco Milza, presidente di Confcooperative Emilia Romagna - rischia di penalizzare fortemente le nostre imprese, in particolare le cooperative agroalimentari che trovano negli Usa un mercato di riferimento. Le esportazioni agroalimentari emiliano-romagnole negli Stati Uniti hanno raggiunto un valore complessivo di 815 milioni di euro (fonte: Rapporto Agroalimentare 2023 Regione Emilia-Romagna). Guardando alle nostre Dop, un'eccellenza come il Parmigiano Reggiano vede oltre il 20% delle forme esportate destinate proprio negli Usa. Altri settori strategici per le nostre filiere produttive, come quello vitivinicolo e ortofrutticolo, hanno avviato importanti relazioni commerciali nel mercato nord-americano e ora rischiano di vedere compromesso l'impegnativo sforzo portato avanti per anni".
Legacoop
"I dazi faranno aumentare l'incertezza economica globale, che si scaricherà sui territori: l'Europa, il Governo nazionale e le istituzioni locali dovranno impegnarsi per sostenere la competitività delle imprese e la coesione sociale - aggiunge - I dazi sono nocivi per l'economia e per la società nel suo complesso, oggi più che mai è utile ribadire che la cooperazione si riconosce nei valori dell'Europa, nei mercati aperti e nell'economia sociale che mette al centro il benessere delle persone e delle comunità"
Conserve Italia
Preoccupata anche Conserve Italia, uno dei maggiori gruppi conservieri in Europa, propietario – tra gli altri – di marchi come marchi Valfrutta, Yoga e Cirio. “Non ci spaventano tanto per le ripercussioni dirette ma piuttosto per gli effetti indiretti, per tutto quello che produrrà: dal costo del denaro alle turbolenze di mercato", commenta Maurizio Gardini, presidente del gruppo cooperativo che ha sede a San Lazzaro di Savena (Bologna). "I dazi non ci mettono in ginocchio ma creeranno problemi", fa i conti.
Conserve Italia, spiega "è esposto con gli Stati Uniti complessivamente per 6-7 milioni di fatturato, una quota possiamo dire irrilevante rispetto al nostro fatturato totale che è di 1,2 miliardi di euro". "Siamo però preoccupati per tutto quello che produrranno i dazi", ad esempio la Bce che potrebbe non continuare nella politica di riduzione del costo del denaro, "nella possibile limitazione degli investimenti, in una politica insomma che mette in difficoltà l'economia". "Conserve Italia non uscirà indenne ma peseranno più gli effetti indiretti nel medio-lungo periodo" che quelli diretti nel breve periodo.
Granarolo
Nessun timore, invece, per un altro colosso dell’alimentare emiliano: Granarolo infatti ha uno stabilimento negli Stati Uniti e punta raddoppiare la produzione sul suolo degli Stati Uniti per aggirare le tariffe introdotte dalla Casa Bianca anche sui prodotti agroalimentari europei. "Granarolo in Connecticut ha uno stabilimento che produce mozzarelle, ricotte, mascarpone, burrate di qualità. Lo abbiamo rilevato tre anni fa e ora lo abbiamo allineato ai nostri standard di qualità e sicurezza alimentare. A prescindere dai dazi di Trump oggi pensiamo di poter raddoppiare le capacità produttive dello stabilimento", rassicura il presidente Gianpiero Calzolari.
Il gruppo Granarolo rappresenta il primo gruppo agroalimentare a capitale italiano e uno dei più importanti operatori dell'industria alimentare in Italia. Conta 15 siti produttivi dislocati sul territorio nazionale, due siti produttivi in Francia, tre in Brasile, uno in Nuova Zelanda, uno nel Regno Unito, uno in Germania e uno negli Stati Uniti.
Lambrusco
L'arrivo dei dazi Usa può spingere i produttori di Lambrusco a "individuare mercati alternativi. Credo che possa essere uno stimolo obtorto collo per andare a individuare Paesi che con molta timidezza si sono affacciati di recente al consumo del vino, a partire dal sud-est asiatico", spiega Claudio Biondi, presidente del Consorzio tutela del Lambrusco. Ma all'orizzonte ci sono anche il Regno Unito, segmenti come il no alcol per penetrare nei Paesi arabi e in nuove generazioni e nuovi prodotti come lo spumante di Sorbara bianco. Il Consorzio rappresenta le Doc del Lambrusco, per una produzione di 40 milioni di bottiglie all'anno, a cui si aggiungono i 110 milioni del Lambrusco Emilia Igt. In totale 150 milioni di bottiglie, di cui il 60% esce dall'Italia. Oltre dieci milioni di bottiglie vanno negli Stati Uniti.