Green pass Cesena. "Tampone obbligatorio al lavoro": tensione tra sindacati e azienda

La Suba Seeds lo impone ai dipendenti senza Green pass. La replica: "Così è il Far West"

Tampone obbligatorio in azienda

Tampone obbligatorio in azienda

Cesena, 22 agosto 2021 - Prima è finita al centro di una trattativa mondiale quando era in vendita, ora è un caso nazionale perché – fra i primi in Italia – vieta l’ingresso ai dipendenti senza Green pass. Dalla piccola Longiano, nel cesenate, la Suba Seeds, riconosciuta in ogni angolo del pianeta come ‘campione’ nella produzione di sementi, ha imposto appunto un tampone ogni 72 ore a carico dei dipendenti non vaccinati contro il Covid. Un regolamento interno aziendale che arriva, e detta legge, in barba e in assenza di una norma nazionale che ancora non esiste, e chissà se mai esisterà.

Green pass obbligatorio per i dipendenti: a Cesena l'azienda chiede il tampone

La Suba Seeds è un’eccellenza romagnola ceduta nel 2016 a un fondo americano e in mano da luglio al colosso svizzero dei fertilizzanti Syngenta, a sua volta sotto il controllo del gruppo cinese ChemChina, leader mondiale dell’industria chimica agraria. Finì sotto i riflettori perché quando il fondo manifestò l’intenzione di venderla si scatenò un’asta internazionale, con americani, multinazionali e cinesi in corsa. E con la Coldiretti, oltre a una serie di parlamentari, che chiesero addirittura l’intervento del governo per impendirne la vendita ad altri stranieri. Si cercarono italiani interessati, ma non se ne fece nulla.

La comunicazione dell’obbligo del tampone ai dipendenti senza vaccino è arrivata nei giorni scorsi tramite un semplice e discreto volantino, un foglietto bianco affisso in bacheca: "Come da regolamento interno ai fini della salute e sicurezza", l’azienda richiede "obbligatoriamente" a partire da lunedì 23 agosto il tampone ai dipendenti che non hanno il Green Pass. Viene addirittura indicato il laboratorio dove eseguirlo, in quali orari e con quali modalità: dovrà essere ripetuto ogni 72 ore per un costo di 25 euro ciascuno "che verrà addebitato nella paga mensile dei dipendenti". E se il test sarà effettuato durante le ore di lavoro, il dipendente dovrà timbrare il cartellino di uscita e di rientro. Tradotto: permesso o ferie. Una direttiva che sarà valida, si legge, "fino alla fine della pandemia".

Ma i sindacati lanciano l’allarme: senza regole sull’obbligatorietà del vaccino nelle aziende si scatena il Far West. "Il principio che ciascun datore di lavoro in decine di migliaia di posti di lavoro possa fare simili leggi interne è inquietante – dice Marcello Borghetti, segretario generale della Uil Cesena – e la mancata iniziativa del Governo è fonte di inutile caos e divisioni logoranti; governo e parlamento devono decidere e convocare le parti sociali per un confronto sulla situazione e sui protocolli sicurezza". I sindacati da sempre sostengono l’importanza della vaccinazione e della campagna vaccinale, ma "ad oggi dentro Suba, così come in qualsiasi altra azienda, non ci sono norme che autorizzino i datori di lavoro a legiferare sulla salute pubblica – dice Francesco Marinelli, segretario generale della Cisl Romagna –. Serve buon senso e bisogna evitare decisioni arbitrarie da parte delle aziende. Non si può obbligare nessuno a fare il tampone per lavorare in azienda. Le nostre federazioni di categoria hanno già chiesto un incontro alla Suba per giovedì per discutere della cosa". "La nostra preoccupazione – spiega Silla Bucci, segretario generale della Cgil Cesena - è che questo sia solo un primo caso e che si allarghi ad altri. Oggi c’è un vuoto normativo: è il governo che deve decidere di rendere obbligatoria per legge la vaccinazione e non scaricare sul mondo del lavoro una responsabilità sanitaria".

Suba Seeds conta circa 200 dipendenti e nel 2019 ha avuto ricavi per 70 milioni di euro, in crescita rispetto ai 68 milioni del 2018. Fu fondata dal cesenate Augusto Suzzi – morto di recente – nel 1974 e via via negli anni ha comprato rivali nel mondo diventando un colosso nel settore. È stata poi venduta agli americani e ora è dei cinesi.