Omicron 2: siamo davvero vicini alla fine della pandemia?

Sorveglianza attenta sulle varianti, medicina a distanza, sistemi di aerazione avanzati per i luoghi affollati, uso migliore delle mascherine: come è possibile la convivenza con il Covid. Le nostre domande e le risposte dell'esperto, il presidente della Società Italiana di Telemedicina, Antonio Gaddi

Bologna, 8 febbraio 2022 - Le varianti Omicron 1 e Omicron 2 continuano a circolare per il Paese e nel resto del mondo. Nonostante la curva dei contagi sia salita vertiginosamente tra dicembre e gennaio, la quantità di decessi è rimasta abbastanza contenuta e la pressione sugli ospedali controllata. C'è chi azzarda che il Covid stia diventando una normale influenza e la pandemia, tempo un anno, finirà. Ma è davvero così? 

Lo abbiamo chiesto ad Antonio Vittorino Gaddi, medico cardioangiologo e presidente della Società Italiana di Telemedicina, con sede a Bologna. 

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Incubo varianti Covid
Incubo varianti Covid

È vero che le varianti tendono ad essere meno pericolose? 

"Per capire bene questo aspetto possiamo fare il confronto con l'influenza classica. Anche il virus dell'influenza negli anni è cambiato, e abbiamo dati utili in particolare dal 1968 ai giorni nostri. Tutti i virus, incluso il Sars-CoV o il virus dell'influenza mutano e creano delle varianti. A loro volta queste si moltiplicano in altre varianti "minori" (Omicron, ad esempio, ha una famiglia di decine e decine di varianti minori), le quali sono talmente simili tra loro che un unico vaccino funziona su tutte. Tuttavia, come abbiamo visto può succedere che la variazione sia maggiore e che quindi nascano virus molto molto diversi da quello originario e su cui il vaccino ha meno effetto. Per esempio, dal 1968 a oggi il virus dell'influenza a ha avuto una decina di 'varianti maggiori' (una ogni qualche anno)".

Il Covid può cambiare di nuovo e diventare più pericoloso?

"Ci sono mutazioni che rendono il virus strutturalmente molto diverso, le variazione più piccole sono più frequenti, ma quello che è preoccupante è che le variazioni più "grandi" si formano a intervalli di pochi mesi, come è stato per Omicron 2. Queste necessiteranno di vaccini sempre aggiornati. A differenza di altri fenomeni simili (come quello dell'influenza), la variabilità è molto più alta. Per l'influenza tradizionale basta un vaccino nuovo ogni due anni circa, per il Covid non basterebbe perché muta più velocemente.

Questo passaggio potrebbe essere semplificato così. Immaginiamo che il Coronavirus sia una torta e l'Rna il pasticcere. Con frequenza regolare il pasticcere cambia la farcitura della sua torta al cioccolato, aggiungendo la panna o la marmellata di albicocche. Ma può succedere - e con il Covid accade più di una volta all'anno - che il pasticcere impazzisca e aggiunga molti ingredienti a caso, come le alici sott'olio o i capperi, che non c'entrano nulla con il cioccolato. A quel punto il risultato sarebbe una torta totalmente diversa e inaspettata. Ecco, in quel caso, tornando al virus, non solo occorrerebbe un vaccino diverso, ma si avrebbe anche un virus di cui nuovamente non si conoscono le caratteristiche".

Sarà quindi necessario un vaccino nuovo ogni anno?

"Per progettare vaccini sempre "aggiornati", ma soprattutto per portare avanti la campagna di immunizzazione occorre tempo: in altre parole il virus va sempre più veloce di noi (almeno per ora). La fatalità della variante Omicron è bassa, ma il virus è diffuso molto di più perché sembra possa attaccare le cellule immunitarie. Ma a preoccupare sono soprattutto le prossime ulteriori varianti che rischiano di mettere sotto scacco tutti. Dobbiamo prendere atto che lo scenario potrà andare avanti a lungo e di questo va tenuto conto per pensare alle soluzioni". 

Quali soluzioni, quindi?

"Non si può stare sempre sull'ottica dell'emergenza e aspettare che il Covid finisca da un giorno all'altro. Vanno attuati da subito adattamenti infrastrutturali per combattere la malattia, non bastano le misure emergenziali. Va pensata una risposta programmata sul lungo termine". 

Cosa sappiamo sulle varianti?

"Si auspica che le mutazioni diventino meno aggressive. Ognuno di noi è colonizzato da miliardi di virus e batteri, che nessuno studia perché non fanno nessun danno. Eppure il Covid tende a essere patogeno: in Italia ci sono ancora circa trecento morti al giorno. Dovremmo sperare che continui a variare in senso non aggressivo. Riporto qui i dati della Francia: nella primissima ondata (2020 ndr) ci sono state circa 60mila positivizzazioni a settimana, poi a novembre 2020 i picchi sono diventati 200/300mila. Con la quinta ondata di Omicron (2022) siamo a 2,5 milioni di casi settimanali". 

Molte persone hanno già contratto il Covid: come si interpreta questo in chiave futura?

"L'immunità non sembra essere permanente, ancora non si hanno abbastanza dati, ma siamo sicuri che le risposte siano diverse da individuo a individuo e ci sono molte persone con immunizzazione scarsa anche dopo il contagio a distanza di pochi mesi. I ricercatori sperano di imparare molto sulle risposte immunitarie proprio dall'esperienza della pandemia, ma questa è ancora una fase di studio.

Nel frattempo però sappiamo con certezza che il virus cambia, creando varianti molto contagiose come Omicron. Il dato rincuorante è che la mortalità è minore, ma questo varrà per la prossima? Ci sono state quattro ondate evidenti, con altre due flessioni della curva. Con un'ondata ogni pochi mesi, bisogna sperare che l'impatto sia sempre lieve per quanto riguarda la mortalità". 

Non si raggiungerebbe così l'immunità di gregge?

"L'immunità di gregge non funziona come ci aspettiamo. La risposta anticorpale è particolare, per questo virus". 

Come bisognerebbe portare avanti la lotta contro il Covid?

"Contestualmente al vaccino, andrebbero fatti progetti di media e lunga distanza. Dal virus ci si può difendere bene, ad esempio nel settore sanitario, con la telemedicina. Infatti, la popolazione continua a morire a causa di altre malattie che non può curare poiché gli ospedali sono occupati dai pazienti Covid. Occorre la pulizia dell'aria con sistemi di areazione che uccidono il virus: importantissimi per mezzi di trasporto, scuole e fabbriche. Un uso migliore delle mascherine. Vanno assolutamente evitate quelle farlocche".

Si sente molto parlare di focolai tra i bambini. Quanto sono a rischio?

"I bambini sono poco esposti a complicazioni con il virus, se non ci sono alle spalle gravi malattie pregresse. Lo stesso non vale per gli ottantenni. Per i bambini, però, servirebbe un osservatorio epidemiologico "agguerritissimo" per avere sistemi di 'pre allarme' in caso di varianti pericolose per loro. Non possiamo, per la nostra ignoranza, essere "iperprudenti" e lasciare i bambini in Dad semipermanente. Non solo. I dati ci dicono che i bambini dopo i 12 anni non vengono più portati dal pediatra: un allarme pericolosissimo, e andrebbe reintrodotto il medico scolastico. Nella fascia 12-25 anni non c'è contatto con la sanità pubblica. Si sta creando la convinzione che i propri figli possano essere curati in autonomia. Sempre la telemedicina, può educare i giovani a informarsi su come come fare prevenzione correttamente". 

"Il virus andrebbe affrontato da tutti i punti di vista, siamo concentrati sul alcuni modi per affrontare la pandemia, quelli che abbiamo conosciuto all'inizio. È arrivato il momento di guardare in avanti. Serve un sistema di sorveglianza attento, anche se costoso, che ci consenta di prevenire una possibile variante aggressiva anche per i giovani, nel frattempo lasciarli vivere liberamente e bene. La parola d'ordine sono conoscenzaprevenzione".