Quanto costa il pane in Emilia Romagna? A Ferrara il più caro

Inflazione, rincari energetici, speculazioni: ecco perché aumenta il prezzo finale. E ora il caldo anomalo fuori stagione minaccia le semine di grano. Il punto di Coldiretti

Bologna, 28 ottobre 2022 - La buona notizia è che la corsa dei prezzi ha cominciato a rallentare, dopo i picchi registrati a marzo – a Ferrara un chilo di pane realizzato con farina di grano veniva venduto anche a 9,80 euro al chilo – e a luglio. Ma il prezzo medio del pane, in Emilia-Romagna, resta comunque notevolmente più elevato rispetto all’inizio dell’anno: a confermarlo è un’analisi di Coldiretti, elaborata sulla base dei prezzi dell’Osservatorio del Ministero dello sviluppo economico. Ferrara detiene ancora il primato della pagnotta più cara: 5,76 euro al chilo la quotazione media a settembre, seguita da Bologna con 4,94 euro e Modena con 4,6. Più economiche Parma (3,74 euro al chilo) e le province romagnole Ravenna (3,91 euro) e Rimini (4,06).

Costo del pane: elaborazione Coldiretti su dati Osservatorio prezzi settembre
Costo del pane: elaborazione Coldiretti su dati Osservatorio prezzi settembre

Colpa dell’inflazione, dei rincari energetici e delle speculazioni dal campo alla tavola, che fanno lievitare di dieci volte il prezzo finale del pane e, più in generale, dei prodotti alimentari, sostiene Coldiretti. Se il prezzo della farina, a settembre, ha segnato un +24,2%, nelle campagne il prezzo del grano non è sufficiente neppure a coprire le spese di produzione sostenute dagli agricoltori. Oggi un chilo di grano viene pagato agli agricoltori intorno ai 36 centesimi (dati Coldiretti) e serve a produrre un chilo di pane, che viene venduto ai consumatori a prezzi medi variabili, compresi tra i 3,91 euro di Parma e i 5,76 di Ferrara. L’incidenza del costo del grano sul prezzo del pane resta dunque marginale ed è pari a circa il 10%. Lo dimostra il fatto che i prezzi al consumo non sono mai calati negli ultimi anni, nonostante la forte variabilità delle quotazioni internazionali del grano, spesso al di sotto dei costi di produzione.

A proposito di frumento, ora la grande paura si chiama caldo fuori stagione: la prospettiva della cosiddetta ‘novembrata’, caratterizzata da caldo record e assenza di pioggia, mette a rischio le semine di grano nei terreni già induriti da un 2022 estremamente siccitoso, in cui si registrano precipitazioni ridotte di almeno 1/3, anche se più violente. È quanto afferma la Coldiretti con riferimento al caldo prolungato fatto registrare in Emilia-Romagna come in tutta la penisola, in un anno che si configura, peraltro, come il più caldo mai registrato finora in Italia dal 1800, con una temperatura addirittura superiore di quasi un grado rispetto alla media storica (dati Isac Cnr relativi ai primi 9 mesi dell’anno).

Una situazione preoccupante, sottolinea Coldiretti: nel 2022 la produzione di grano duro in Italia è stimata in 3,8 milioni di tonnellate ed è in calo del 5%, nonostante l’aumento delle superfici coltivate, che sono passate a 1,24 milioni di ettari nel 2022 - contro 1,23 milioni del 2021. In difficoltà per l’allarme siccità fuori stagione sono poi tutte le colture ora in campo: gli imprenditori agricoli – continua Coldiretti - stanno intervenendo addirittura con irrigazioni di soccorso (come in pieno agosto) per non compromettere i raccolti, dai kiwi agli ortaggi. Il caldo sta provocando l’allungamento della fase vegetativa delle piante, con il rischio di far ripartire le fioriture, da un lato e, dall’altro, di esporle ai danni di un prevedibile successivo abbassamento delle temperature.

Ma gli effetti del cambiamento climatico si fanno sentire anche per i parassiti, rimasti attivi con le temperature miti sia in campagna che nelle città, dove sono ancora diffuse zanzare e mosche. Una conferma di quella tendenza alla tropicalizzazione che – prosegue Coldiretti – si manifesta con una maggior frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi e intense e il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi che compromettono le coltivazioni nei campi e provocano ingenti perdite della produzione agricola.

Il caro-pane e, più in generale, l'impennata della spesa alimentare costringeranno le famiglie emiliano-romagnole a spendere 650 euro in più per imbandire la tavola, a causa dell’esplosivo impatto dei rincari (non solo energetici) sulla filiera agroalimentare. È quanto stima la Coldiretti sulla base dei dati Istat relativi all’inflazione registrata a settembre, che evidenziano un aumento dell’11,4% per i prezzi di beni alimentari. “Nell’immediato occorre intervenire per contenere il caro energia e i costi di produzione con misure urgenti per salvare le agricole e strutturali per programmare il futuro”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini. “Occorre anche lavorare per accordi di filiera tra imprese agricole e industriali, fissando precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prevedendo prezzi equi, che non scendano mai sotto i costi di produzione - come prevede la nuova legge di contrasto alle pratiche sleali e alle speculazioni”.