TIZIANA PETRELLI
Cronaca

Il dubbio di monsignor Tonucci: "Dov’è la biblioteca di Volpini?"

Durante la cerimonia del Premio intitolato all’intellettuale fanese più noto, l’alto prelato si è chiesto che fine abbia fatto il suo immenso patrimonio librario, che fu donato al Comune.

Valerio Volpini, partigiano, prof universitario, politico e giornalista. Nel riquadro, monsignor Tonucci

Valerio Volpini, partigiano, prof universitario, politico e giornalista. Nel riquadro, monsignor Tonucci

di Tiziana Petrelli"Che fine ha fatto la biblioteca di Valerio Volpini donata al Comune?". Se lo è domandato, pubblicamente, monsignor Giovanni Tonucci, ma senza aspettare risposta. Una domanda lasciata volutamente sospesa, tra un ricordo e una risata, nel cuore della cerimonia del Premio Valerio Volpini (consegnato quest’anno alla giornalista dell’Avvenire Lucia Capuzzi) dedicato all’intellettuale fanese più conosciuto in italia e all’estero: partigiano della Resistenza, docente universitario, politico Dc e giornalista. Perché quella biblioteca – una stanza intera, traboccante di libri, riviste, appunti, manoscritti – non è solo un bene materiale, ma un frammento del pensiero e del vissuto di un intellettuale che ha segnato la storia di Fano e non solo.

A riportare la figura di Volpini al centro del discorso pubblico è stato proprio Tonucci, con un intervento che ha strappato sorrisi e applausi, grazie alla sua ironia affettuosa e al piglio narrativo di chi, più che commemorare, ha voluto raccontare. "Avrei voluto proporre quattro quadri, ma visto il tempo, ho deciso di limitarmi a dei francobolli" ha detto, introducendo i suoi flash di memoria. Il primo lo riporta indietro al 1946 o ’47, quando un giovane Valerio – ex partigiano ammalato dopo la guerra – si recava ogni giorno a casa Tonucci per sottoporsi a iniezioni endovenose. Era il padre del monsignore, farmacista di fiducia, a praticargliele. "Per noi bambini era uno spettacolo. Siringa di vetro, ago da bollire, pompetta: un teatrino quotidiano". E in effetti fu proprio Volpini, qualche giorno dopo, a regalare loro un teatrino vero, con burattini in gesso e cartone. "Un gesto che segnò l’inizio di una familiarità che durò per tutta la vita".

Ma quell’amicizia rischiò di incrinarsi negli anni Cinquanta, quando Volpini scattò una foto e la commentò con ironia pungente: "Sei geniale perché hai le orecchie a sventola", riferendosi al giovane Giovanni. "Fu un trauma a quell’età! Ma lo superai. Gli volli bene lo stesso". Poi, un salto nel tempo: Roma, fine anni Settanta. È il 1978 quando Volpini viene scelto da Papa Giovanni Paolo II per dirigere L’Osservatore Romano, quotidiano della Santa Sede. Tonucci, all’epoca in Segreteria di Stato, lo riceve e gli fa una raccomandazione: "Stai attento, è un ambiente difficile". Una previsione che si rivelò puntuale. Le resistenze interne, i piccoli privilegi messi in discussione – come la rimozione della rubrica sportiva che serviva a garantire l’ingresso gratuito allo stadio a qualche giornalista – e i cambi di sensibilità nei pontificati successivi resero il compito di Volpini tutt’altro che semplice. Ma lui seppe affrontarlo con “stile sobrio, solenne, privo di cortigianeria”, come ha ricordato Tonucci.

Nel 1984, terminato l’incarico vaticano, Volpini tornò a Fano. Anche Tonucci, in quegli anni, lasciò Roma per diventare nunzio in Jugoslavia. È lì che scoprì quanto la rubrica “Pubblico e privato” di Volpini su Famiglia Cristiana fosse letta e apprezzata anche all’estero. Infine gli incontri a casa Volpini, nella sua grande stanza studio. "Un piano intero – ha raccontato Tonucci – pieno di libri, riviste, fogli sparsi. Un disordine creativo, da cui emergeva il suo mondo. E poi quell’albero dei poeti, sotto la finestra, dove buttava i libri di poesie che non gli piacevano". E da lì, inevitabile, la domanda finale: dov’è finita quella biblioteca? "Non è solo un insieme di libri – ha concluso –. È una memoria viva, che andrebbe tenuta, valorizzata, resa utile alla città". Una provocazione gentile, che ora attende risposte.