La banda della Lanterna Azzurra "un’associazione per delinquere"

Ecco le motivazioni dei giudici della Corte d’Appello: "Ruoli e modalità di azione basati su un patto preciso"

Era "un sodalizio criminale" la banda della Bassa Modenese condannata anche in secondo grado, il 17 marzo scorso, per la strage della Lanterna Azzurra di

Corinaldo, tra il 7 e l’8 dicembre 2018, quando morirono nella discoteca 5 minorenni – di cui tre della nostra provincia: Asia Nasoni 14 anni di Marotta, Benedetta Vitali 15 anni di Fano, Mattia Orlandi, 15 anni di Frontone – e una mamma di 39 anni, schiacciati da una folla in fuga dopo lo spruzzo di una sostanza urticante per rubare collanine d’oro. A quattro mesi dalla sentenza della Corte di Assise di Appello di Ancona sono uscite le motivazioni che hanno portato i giudici a riconoscere ai sei imputati, Ugo Di Puorto, 23 anni, Andrea Cavallari, 23 anni, Moez Akari, 25 anni, Raffaele Mormone, 23 anni, Souhaib Haddada, 24 anni e Badr Amouiyah, 23 anni, tutti detenuti, anche l’associazione a delinquere con inasprimento delle condanne comprese da 10 a 12 anni, esclusa invece nel primo grado di giudizio. In 364 pagine la Corte spiega come proprio il numero elevato dei furti commessi nei locali e la loro abilità a scambiarsi di ruolo, attingendo anche a membri di bande opposte, siano stati determinanti per il riconoscimento del "pactum sceleris", l’accordo tra due o più soggetti per commettere una o più azioni delittuose. Dalle prove emerge "la sussistenza degli elementi costituitivi del reato associativo e cioè di un sodalizio criminale avente le caratteristiche di una vera e propria associazione per delinquere", formata dai sei giovani e da un ricettatore, che ha già definito la sua posizione con un patteggiamento, mentre un ultimo ragazzo potrebbe finire a processo a settembre. La serialità e la frequenza della commissione di vere e proprie razzie all’interno di locali da ballo con modalità "professionali e collaudate", con cadenza più che settimanale, e il protrattasi per mesi evidenziano, motiva il presidente della Corte di Assise di Appello di Ancona Giovanni Trerè, "come quella fosse la modalità normale di operatività dell’associazione". Ben definiti, in particolare, i ruoli assegnati ai vari componenti: il ‘disturbatorè (che distraeva le vittime), chi strappava i monili, e infine chi li occultava, addosso a sé o nelle vicinanze dei locali. Per i giudici di secondo grado non contano "la radicale diversità o contrapposizione degli scopi perseguiti o eventuali conflitti di interesse tra i soci" come hanno cercato di contestare le difese degli imputati, sostenendo che i sei accusati non si conoscevano tutti tra loro e che erano arrivati alla discoteca separatamente.