L’altra pandemia che ha colpito i ragazzi

Ansia, depressione, disturbi alimentari. Negli anni dell’emergenza Covid, gli accessi in Neuropschiatria aumentati del 30 per cento

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di Benedetta Iacomucci

Non c’è solo la classica malattia con febbre, tosse e insufficienza respiratoria. Assieme al Covid, subdolamente, si è diffusa tra i più giovani una patologia della mente, i cui effetti si sono visti anche da noi. Restrizioni, lockdown, perdita delle frequentazioni abituali e un senso generale di incertezza, hanno originato tra i giovani e giovanissimi stati d’ansia e depressione, con disturbi del sonno e dell’alimentazione fino a vere e proprie tendenze suicide, che si sono tradotti, nel nostro ospedale, in un aumento del 30% degli accessi nel reparto fanese di Neuropsichiatria. "Il caso che mi ha colpito di più? – spiega Elisabetta Tarsi, direttore facente funzione dell’Unità operativa complessa di Neuropsichiatria infantile, nel presidio di Fano – Quello di un bambino che aveva sviluppato una paura patologica di ammalarsi, anche indotta dalla famiglia. Ma ci sono state situazioni più gravi che hanno evocato disturbi paranoidei, per le quali sono state necessarie specifiche terapie anche farmacologiche".

Dottoressa Tarsi, nella sua esperienza, che fenomeni ha osservato in questi due anni?

"Per quanto riguarda l’osservazione clinica dei pazienti rispetto al Covid – lockdown e post lockdown – si è notato un aumento del disturbo d’ansia, dalla prima infanzia all’adolescenza. Con delle differenze".

Quali?

"Nel bambino più piccolo, in età da scuola d’infanzia e primaria, l’ansia si è declinata con una difficoltà di separazione dal genitore, disturbi del sonno e dell’alimentazione... In età adolescenziale e preadolescenziale invece il disturbo d’ansia si è associato a un disturbo ansioso-depressivo rispetto a se stessi e a componenti del nucleo familiare. Un elemento caratteristico è la patofobia, ovvero la paura del virus stesso, un virus sconosciuto, che ha profondamente modificato la quotidianità dei ragazzi, con l’interruzione della frequenza scolastica e sportiva, ma soprattutto con l’interruzione dei percorsi nei centri di riferimento per la riabilitazione".

Cosa si fa in questi casi?

"Naturalmente si parte dalla sintomatologia per valutare attraverso i colloqui se c’è una regressione. Se il disturbo risulta stabile si effettua un’indagine più approfondita per valutare gli aspetti patologici".

Quindi la pandemia ha fatto da detonatore rispetto a situazioni che, diversamente, avrebbero ’tenuto’?

"Sì, gli effetti della pandemia hanno ’slatentizzato’, facendoli emergere, certi disturbi".

Qual è la situazione ora?

"In questo momento abbiamo un maggiore accesso rispetto a disturbi per esordi psicotici in età adolescenziale, disturbi del pensiero e dell’emotività, che vanno affrontati con terapie farmacologiche. Rispetto all’autismo e a quadri con disabilità più o meno gravi, la perdita dei punti di riferimento come i centri riabilitativi o la sospensione del percorso terapeutico ha certamente prodotto un aggravamento. Inoltre in quadri più semplici ma comunque importanti in età evolutiva, come la dislessia o i disturbi specifici dell’apprendimento, l’interruzione della frequenza scolastica e la didattica a distanza hanno provocato un disagio forte. Trovarsi di fronte a uno strumento elettronico, per questi ragazzi, ha prodotto un forte senso di inadeguatezza".

La pandemia è stata un’occasione persa per occuparci dei nostri figli?

"In alcune situazioni l’avvicinamento dei bambini e ragazzi alla famiglia ha migliorato i casi gravi; più spesso però l’interruzione delle terapie riabilitative e l’accantonamento degli obiettivi terapeutici hanno aumentato le situazioni di disagio. Nel nostro reparto, nella fascia adolescenziale, abbiamo visto anche dei casi partiti da un profondo senso di solitudine affettiva, una sensazione di vuoto associata anche ad azione suicidaria. Casi nei quali si è reso necessario il ricovero".

Percorsi psicoterapeutici?

"La psicoterapia online, che in alcuni casi è stata una modalità scelta per non interrompere il sostegno, non si è sempre rivelata efficace, perché comunque serve la condivisione dello sguardo e delle emozioni".

Come distinguere un disturbo vero da una proiezione delle proprie ansie sui figli?

"In quei casi è utile l’analisi dell’invio del medico curante o del pediatra di libera scelta, poi ovvimente l’analisi della sintomatologia".