Lisippo Fano, le motivazioni della Cassazione. "E' italiano"

Dopo il rigetto del ricorso del Getty: il museo s’è mosso con leggerezza

Il Lisippo, altrimenti detto l’Atleta di Fano, creazione in bronzo. Lo scultore, Lisippo appunto, fu attivo in Grecia dal 372-368 a.C. fino alla fine del IV secolo

Il Lisippo, altrimenti detto l’Atleta di Fano, creazione in bronzo. Lo scultore, Lisippo appunto, fu attivo in Grecia dal 372-368 a.C. fino alla fine del IV secolo

Fano, 3 gennaio 2019 - "Inspiegabile e ingiustificabile leggerezza" del Getty Museum nell’acquisto del Lisippo. Queste le motivazioni della sentenza con cui la Cassazione, all’inizio di dicembre 2018, ha respinto il ricorso del Getty Museum e confermato la confisca dell’Atleta di Fano, attualmente esposto nel museo californiano di Malibu.

La Cassazione, dunque, nelle motivazioni della sentenza, rese note ieri, fa riferimento alla mancanza di new diligence da parte del Getty Museum che acquistò la statua sulla base di pareri sulla lecita provenienza dell’opera espressi solo dai consulenti (uno studio legale di Roma) del venditore (un antiquario tedesco, Herzer).

LEGGI ANCHE La proposta: "Mettiamolo al porto come a New York"

La Cassazione ricorda anche come «l’autorevolissimo partner» che aveva affiancato il Getty nella trattativa, il Metropolitan Museum di New York, si fosse sfilato dall’acquisizione dell’opera nutrendo «perplessità» sulla sua provenienza. La statua fece il suo ingresso negli Stati Uniti nell’agosto del 1977 quando arrivò, via nave, nel porto di Boston dopo il decesso del magnate Jean Paul Getty che l’aveva fortemente voluta.

L’opera era rimasta per un breve periodo al Museo delle Belle Arti di Boston, e poi trasferita al museo di Denver in Colorado, per arrivare dove ancora si trova, al Getty Museum di Malibù in California. «Chiedere conferme in ordine alla legittimità di una compravendita a soggetti che, seppure ampiamente qualificati professionalmente, erano istituzionalmente preposti alla tutela degli interessi del venditore, costituisce comportamento, per l’acquirente, connotato da una inspiegabile ed ingiustificabile leggerezza», sottolinea la Suprema Corte, nella sentenza n.22, tra i primi verdetti depositati nell’anno nuovo. La pronuncia della Cassazione fa seguito all’udienza che si è svolta lo scorso 30 novembre, a porte chiuse, ed è scritta dal consigliere Andrea Gentili. Aggiungono gli «ermellini», respingendo il ricorso di Stephen Clark – rappresentante del Getty Trust – contro l’ordinanza di confisca emessa dal Tribunale di Pesaro l’otto giugno 2018 dopo un contenzioso durato anni, che il museo americano aveva la «sicura consapevolezza della pregressa esistenza di un articolato contenzioso penale».

Inoltre, da una Fondazione prestigiosa come il Getty era ovvio esigere la «doverosa conoscenza della normativa italiana in tema di esportabilità e commerciabilità dei beni culturali» e il museo avrebbe potuto avere «informazioni meno di parte» rivolgendosi alle autorità italiane competenti sui beni artistici e culturali. Per la Cassazione è da escludere che l’acquisto di questo capolavoro dell’antichità classica sia stato «improntato al canone della buona fede».

Infine, la Cassazione rileva che non c’è dubbio che la statua di Lisippo appartenga al patrimonio artistico italiano, fatto messo in dubbio dalla difesa di Clark. «L’opera – si specifica – è stata rinvenuta da un peschereccio italiano ed issata a bordo, già in tal modo entrando all’interno del territorio nazionale» nell’estate del 1964 quando venne sbarcata a Fano. La Cassazione aggiunge come l’appartenenza della statua all’Italia sia giustificata ancor più da quella «continuità culturale che ha, fin dai primordi del suo sviluppo, legato la civiltà dapprima italica e poi romana alla esperienza culturale greca, di cui quella romana può dirsi continuatrice».