
Il luogo della tragedia. I carabinieri appongono i sigilli all’abitazione di Saltara. Prima udienza in corte d’Assise il 10 dicembre prossimo
Otto colpi con un coltello lungo 21 centimetri. Inferti all’addome, alla schiena, al braccio e alla coscia, in rapida successione. La notte tra il 6 e il 7 settembre 2024 Ana Cristina Duarte Correia, 38 anni, è morta così, massacrata dal marito, Enzo Di Levrano, 55 anni. Ieri mattina, nel tribunale di Pesaro, il giudice per l’udienza preliminare ha disposto il rinvio a giudizio dell’uomo, difeso dall’avvocato Salvatore Asole. Il processo si aprirà il 10 dicembre davanti alla corte d’assise. Nessun rito alternativo. Contestate al marito le aggravanti dei futili motivi, crudeltà, pregressi maltrattamenti e rapporto di coniugio. Ma l’udienza si è aperta con un colpo di scena tecnico: il giudice ha accolto la prima eccezione della difesa, escludendo la costituzione di parte civile dell’associazione "Il giardino segreto", impegnata nell’assistenza degli orfani di femminicidio. "Il progetto Airone offre un aiuto a 360 gradi, anche economico", ha dichiarato Patrizia Schiarizza, presidente dell’associazione. Ma per il giudice manca un interesse legittimo. In aula restano solo la madre, la sorella e i tre figli minori della vittima che si sono costituiti parte civile. La difesa, nel tentativo di smontare il quadro accusatorio, ha sollevato anche un’eccezione di nullità, respinta dal giudice, sulla richiesta di rinvio a giudizio, sostenendo che i motivi che giustificano le aggravanti non sarebbero descritti in modo sufficientemente chiaro. "Otto colpi in sequenza non bastano a dimostrare la crudeltà", ha argomentato l’avvocato Asole, citando la recente sentenza sul caso Turetta. Il pm ha risposto che l’aggravante deriva dalla presenza in casa dei figli, ma la difesa ha contestato anche questo punto: il maggiore dei tre, secondo la loro ricostruzione, sarebbe arrivato a delitto già avvenuto, urlando "Papà, che cosa hai fatto?". Non c’è premeditazione tra le aggravanti, ma per l’accusa il movente è tanto semplice quanto agghiacciante: gelosia. Pochi giorni prima dell’omicidio, Di Levrano, secondo quanto contestato dall’accusa, avrebbe minacciato la moglie urlandole che, qualora se ne fosse andata, l’avrebbe uccisa e poi si sarebbe tolto la vita. L’avrebbe inseguita per le strade di Saltara, tirandola per i capelli. Quattro giorni dopo, l’ha massacrata in casa. Il femminicidio, però, non è stato un fulmine a ciel sereno. A Porto Torres, dove la coppia ha vissuto a lungo, Ana Cristina aveva raccontato di essere sottoposta a continue violenze: minacce di morte, oggetti scagliati, pugni in faccia per una saliera caduta a cena, e una lunga serie di intimidazioni economiche e psicologiche. Aveva sporto una sola querela, poi ritirata.