Silvia Romano rapita in Kenya, la Onlus. "Sui social ci massacrano"

Parla la presidente dell'associazione

Silvia Romano. Nel riquadro, Lilian Sora, presidentessa di ‘Africa Milele’, col compagno

Silvia Romano. Nel riquadro, Lilian Sora, presidentessa di ‘Africa Milele’, col compagno

Fano (Pesaro e Urbino), 23 novembre 2018 - Quattordici persone sono state arrestate in Kenya, nell’ambito delle indagini sul rapimento della cooperante italiana Silvia Romano (foto). La retata è stata confermata dalla polizia di Malindi che sta cercando anche un uomo che aveva affittato camere per due sospetti scomparsi dal momento del sequestro.

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Ma nessuna di queste notizie rincuora un po’ la fanese Lilian Sora, presidente dell’associazione Africa Milele con la quale collabora la 23enne milanese rapita nel piccolo villaggio di Chakama. «Non vedo motivo di essere sollevata, ancora – dice –. Sono due notti che non dormo, tre giorni che non mangio». Per lei questo non è solo un impegno sociale, ma la vita vera e propria. «Il mio compagno si trova nel casino laggiù. Io sono nel casino qua e non è facile affrontarlo da sola, con la nostra bimba piccola (di un anno, ndr) e un’altra figlia».

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Lui è un operatore del centro?

«Sì. E’ il nostro referente africano che segue tutto». 

Sta bene o è tra i feriti?  «No. Perché in quel momento era lì l’altro masai». 

Quando è stata l’ultima volta a Chakama?  «Sono stata lì con le mie figlie dal 24 luglio al 20 settembre. E stavo già progettando il prossimo volo. Figuratevi se avevo sentore che ci poteva essere un attacco del genere» 

E Silvia?  «Lei la prima volta che è venuta a Chakama è stata a casa con mia figlia, che c’è stata nove volte. Non c’è una realtà pericolosa lì. Lo sanno bene i volontari che sono rientrati da poco e già scalpitano per ripartire perché in questo momento siamo scoperti laggiù». 

La Farnesina a questo proposito cosa dice?  «Non ho neanche chiesto. Adesso siamo impegnati nel cercare di far rimborsare i voli a chi doveva raggiungere Silvia. Non facciamo più partire nessuno, assolutamente. Però questa cosa che è successa è una cosa brutta che può succedere ovunque». 

E’ la normalità che i cooperanti vivano in villaggi senza vigilanza?  «Noi la vigilanza ce l’abbiamo. Non c’è il poliziotto che fa il piantone, ma abbiamo i masai che sono l’unica tribù in Kenya che può girare armata, non hanno la pistola ma sono loro a fare la sicurezza lì. Tant’è che il nostro masai è stato ferito. Poi abbiamo anche delle regole, come il coprifuoco».

Ci sono altri vostri volontari in Africa in questo momento?  «No, non ho volontari in giro. E sono molto impegnata a tentare di calmare quelli qui che vogliono insorgere per tutta questa violenza social da cui siamo aggrediti, sia noi che Silvia in prima persona. Trovo tutto molto cattivo. Chi ci conosce ha manifestato solo affetto. Gli altri parlano senza cognizione di causa. Io so che persona è Silvia. Offendendo lei, che rispecchia il nostro modo di operare, è come se si offendessero tutti i volontari». 

Si sente in colpa per averla lasciata sola?  «No. Noi sappiamo come lavoriamo e capita che in alcune situazioni ci sia solo un coperante».

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Come risponde a Ciarrapica (il responsabile della Onlus Orphans’s Dreams operante in Kenya, per la quale Silvia Romano ha lavorato in passato, ndr) che di Silvia ha dipinto un quadro ingenuo, avventuroso e indisciplinato?  «Di Ciarrapica non voglio parlare. Non commento perché conosco i pregressi. Certamente ha colto il momento giusto per prendere il suo attimo di notorietà». 

Come mai dopo il rapimento ha oscurato il sito dell’associazione? «Perché la pagina Facebook l’aggiorno io personalmente, quotidianamente. Mentre il sito era rimasto un po’ indietro. Quindi onde evitare che in questi giorni venissero dette cose che non sono più attuali l’abbiamo chiuso».