Volterra celebra l’attore Carlo Simoni

Il premio alla carriera al poliedrico regista e artista nato a Fano 75 anni fa

Migration

Fano (Pesaro e Urbino), 6 agosto 2019 - Finalmente è arrivato il riconoscimento alla carriera, ma Carlo Simoni di scendere dal palcoscenico non ci pensa proprio. Nato a Fano nel 1943, ha portato avanti quattro carriere che sono altrettante vite: prima pittore, poi attore di teatro (scelto da Strehler e Ronconi, tra i tanti), televisione (I fratelli Karamazov e Il mulino del Po con la regìa di Sandro Bolchi, oltre a La vita di Leonardo da Vinci con quella di Renato Castellani sono stati tra i suoi grandissimi successi), cinema. Il tutto ad altissimi livelli.

La scorsa settimana Simoni per la sua attività nel mondo dello spettacolo ha ricevuto a Volterra il prestigioso premio Ombra della Sera, nell’ambito del Festival internazionale del teatro romano.

Simoni, se l’aspettava un premio alla carriera?

«Prima o poi sì. Era nell’aria e sentivo qua e là qualche vocina. Ma la carriera non è finita per niente».

Carlo Simoni con Philippe Leroy in "Leonardo" di R. Castellani
Carlo Simoni con Philippe Leroy in "Leonardo" di R. Castellani

Una carriera artistica che comincia con il pennello in mano.

«Sono Maestro d’arte, diplomato all’Accademia di belle arti di Roma, dove ho avuto come maestri Maccari per l’incisione, Montanarini, Gentilini e Afro che faceva decorazione pittorica, e c’era pure Fazzini per la scultura».

Come arrivò a Roma?

«Venivo da Bologna. Sono nato a Fano, ma vivevo a Bologna con la mia famiglia, e lì ho frequentato la Scuola d’arte. Mio padre, ispettore della pubblica istruzione, fu trasferito a Roma, dove mi iscrissi all’Accademia».

E dove fu folgorato sulla via del teatro…

«Durante l’ultimo anno, mentre preparavo la tesi, ho tentato l’esame all’Accademia d’arte drammatica. Da tempo leggevo molta poesia e un po’ di teatro, ma ero affascinato dal mestiere dell’attore. Ho avuto la fortuna di avere docenti del calibro di Orazio Costa e Sarah Ferrati, che ritengo la più grande attrice italiana del Novecento. Mi diceva sempre “Simoni, lei ha del talento, approfondisca le sue qualità, studi!”. Da lei ho imparato tutta la tecnica».

Simoni ne "I Karamazov" e con Patrizia Milani a teatro
Simoni ne "I Karamazov" e con Patrizia Milani a teatro

Poi l’incontro con Strehler.

«Con Giorgio ho imparato il metodo di comprensione del ruolo, lo studio dell’autore, dell’epoca, del comportamento e del movimento. “Chiediti perché il personaggio ha detto questa battuta” era la domanda ricorrente».

Che mestiere è quello dell’attore?

«E’ uno dei più complicati e dei più difficili, pretende allenamento e studio continuo, come per il musicista. Con Mastroianni si parlava spesso di questo: noi siamo una bottiglia piena, che deve essere svuotata per dare spazio all’anima del personaggio. Noi dobbiamo suonare noi stessi, dobbiamo togliere tutta la nostra psicologia e tutti i complessi».

I complessi?

«Sì. Più complessi ha un attore, più sarà bravo. Guai all’attore disinvolto».

Come valuta la sua lunghissima carriera?

«Sono un uomo spaccato a metà, nel senso che la mia sensibilità è di pittore, colori e disegno».

Quali ruoli ama interpretare?

«Da giovane mi piacevano i bastardi, come Edmund nel Re Lear. Invecchiando invece non mi piacciono più, preferisco i personaggi positivi che lanciano messaggi al pubblico».

Tipo?

«Per esempio nelle Marche mi piacerebbe fare un Giacomo Leopardi, per la sua sofferenza e la grande umanità. Un altro personaggio di cui ho messo insieme un po’ di cose è Van Gogh, le lettere al fratello Theo dimostrano la sua grandezza».

Adesso è invece impegnato in una performance su Leonardo.

«Fa parte della mia zona artistica figurativa e mi sono entusiasmato. E’ una performance che parte dallo sceneggiato di Castellani e dove io racconto la vicenda umana dell’uomo prima che l’artista».

Pittura o teatro, infine?

«La pittura mi faceva soffrire quando non trovavo soluzioni, il teatro invece è terapeutico, ha calmato e dato disciplina al pittore. Mi ha salvato la vita: rischiavo di essere tormentato come Van Gogh e invece mi ha convinto Renoir, che sosteneva che la pittura deve essere piacere».

di PIERFRANCESCO GIANNANGELI

IL VIDEO / Carlo Simoni, l'essere multiforme