"Case aperte per nascondere i soldati Il coraggio delle famiglie fermane"

Simona Corvari racconta il grande cuore degli abitanti delle zone di San Girolamo, Caldarette Ete e Girola negli anni della seconda guerra mondiale: "In ogni abitazione ce ne era uno, nessuna paura"

Migration

Tutti ne tenevano uno, negli anni della guerra, ogni famiglia dava riparo ad un soldato straniero finito nei campi di prigionia del territorio. È una frase semplice, vera, che fa da titolo al libro di Simona Corvari, per raccontare il coraggio delle famiglie della zona di San Girolamo, Caldarette Ete, Girola, negli anni della seconda guerra mondiale. Nel campo di concentramento di Monte Urano, oggi MoliniConceria, denominato PG70. Fra il 1941 ed il 1943 vi furono rinchiusi prigionieri greci, maltesi, ciprioti, inglesi, americani, francesi, slavi. Dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, nella confusione generale di quei giorni, i prigionieri si diedero alla fuga senza essere ostacolati dalle guardie e ricevettero l’accoglienza della popolazione locale, in particolare dei contadini. Tuttavia, nel giro di qualche giorno la situazione cambiò, fascisti ed esercito tedesco occuparono nuovamente il campo ed iniziarono vaste operazioni di rastrellamento dei prigionieri fuggiti o di ebrei che cercavano scampo fuggendo verso i territori liberati dagli Alleati. Nel clima di terrore e di caccia all’uomo, centinaia e centinaia furono le famiglie del luogo che, rischiando la morte, continuarono a dare aiuto ai prigionieri e agli ebrei. Le famiglie della Valle del Tenna, mettendo a repentaglio la propria vita, accolsero e nascosero i prigionieri alleati in fuga dopo l’8 settembre, scrivendo una pagina bellissima di resistenza civile e non armata al nazifascismo. Ogni casa si apriva per nascondere un giovane soldato, tutti si mobilitavano per sfamarli e farli tornare a casa in maniera avventurosa. Simona ha scoperto storie incredibili: "Ho studiato lettere e filosofia a Bologna, con la specializzazione in storia contemporanea, perché volevo raccontare la storia di mio nonno, morto quando avevo 16 mesi. A 16 anni quando è morta mia nonna ho trovato tra le loro cose l’attestato che il governo inglese assegnava a chi aveva dato un aiuto agli ex prigionieri britannici. Una storia di cui nessuno sapeva niente e che io invece volevo raccontare a tutti i costi".

Un viaggio lungo tre anni, interviste, incontri, fotografie che Simona ha messo insieme, con l’aiuto di Filippo Ieranò, della casa della memoria di Servigliano: "Tutti ne tenevano uno, mi ha detto Maria Pia Cinti, l’ultima testimone che è scomparsa appena dieci giorni fa. Lei mi ha raccontato che era naturale all’epoca aiutare, oggi sembra molto meno scontato. Dina Marilungo invece, che aveva nascosto un ragazzo inglese, mi ha raccontato che una sera le sono entrati in casa 32 fascisti che avevano avuto la soffiata. Per fortuna il soldato era già scappato e non hanno avuto conseguenze ma certo hanno tutti rischiato la vita. Poi avevano anche una lettera del consolato che assicurava a tutti loro protezione e attenzione in caso di problemi, anche dopo la guerra, proprio per riconoscenza".

Nel libro Simona ha lasciato le parole in dialetto, i ricordi carichi di luce e di sofferenza, le corse per spostare i soldati e farli imbarcare a Lido di Fermo e poi a Marina Palmense, anche con l’aiuto di Joyce Lussu che li nascondeva a Casa Salvadori. Tanti, tantissime storie di cui nessuno ha custodito finora la memoria. "I testimoni diretti sono scomparsi tutti e nessuno ha sentito la necessità di ascoltarli quando erano ancora vivi. Come Gino Elba, anche lui di San Girolamo, da soldato era finito a Buchenwald e raccontava di sentirsi ‘nemico di tutti’, a 25 gradi sotto zero. È morto senza mai condividere i suoi ricordi. Non abbiamo memoria, per questo torniamo a fare gli stessi errori. Ci sono tante associazioni, tante realtà, ma solo se uniamo tutti le forze possiamo sperare di farci sentire e di tenere davvero vive quelle storie".

Il libro di Simona, che racconta la resistenza non armata ai nazifascisti, sarà raccontato domani, 25 aprile, alla fattoria sociale Monte Pacini, alle 16,30, alla presenza dell’autrice, di Carlo Verducci e di Filippo Ieranò, della Casa della memoria di Servigliano.

Angelica Malvatani