"Ero in una relazione tossica Avrei dovuto capirlo prima"

Anastasia racconta: "La mia è una storia come quella di tante altre donne, all’inizio è bella, poi tutto cambia. Dall’emozione dell’amore si arriva alla paura"

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Il rosso di una lotta che vale per tutti, sullo sfondo il viso di Anastasia, una delle ultime vittime, della violenza travestita d’amore. Intorno si sono ritrovati tutti i soggetti che in qualche modo fanno rete per sostenere le donne ferite, umiliate, picchiate, le donne che riescono a chiedere aiuto. C’è la commissione provinciale Pari opportunità e poi le amministrazioni pubbliche, la Prefettura, le forze dell’ordine, le cooperative, con On the road e l’Ambito sociale. Presentato il progetto ‘Sulla strada del rispetto’, questa mattina la commissione sarà su un pullman della Steat, a raggiungere i comuni della Valdaso, per consegnare kit informativi e materiali utili. La consigliera provinciale Luciana Mariani ha coordinato i lavori, il sindaco Paolo Calcinaro parla della lunga tradizione fermana sulla strada dell’accoglienza: "Siamo stati i primi a scommettere sull’apertura di una casa rifugio, a indirizzo segreto, per dare protezione alle donne vittime di violenza o di tratta e sfruttamento. Una casa che c’è e che continua a funzionare, anche se davvero vorremmo che non ce ne fosse bisogno". E proprio dalla casa rifugio arriva la testimonianza che dà senso a tutto l’incontro: "La mia è una storia come quella di tante donne, all’inizio tutto è bello, poi tutto cambia. Dall’emozione dell’amore si arriva alla paura, quando si proviene da una infanzia vissuta nella violenza sembrava normale. Nonostante la paura e il dolore fisico giustificavo il suo comportamento e gli credevo, quello schiaffo era solo l’inizio di una serie di abusi fisici e psicologici, sono arrivate poi le cinturate e i pugni anche quando ero incinta. Non vedevo via di uscita, il tempo passava e mio marito mi allontanava dagli amici, avrei dovuto capirlo di essere in una relazione tossica. Mi privava di soldi e mi vietava internet, toglieva la corrente a casa e mi toglieva il cibo che mi piaceva, mi controllava ovunque. Le nostre litigate erano per un niente, gli chiedevo attenzione, uno scambio di comunicazione, ma bastava niente che perdeva la pazienza e non ragionava più. Le urla aumentavano sempre, i vicini minacciavano di chiamare i carabinieri, lui chiedeva scusa e dava la colpa a me. Mi diceva che non era così con nessun altro, era una manipolazione che mi faceva sentire responsabile e sbagliata, avevo paura di continuo, mi diceva che mi avrebbero tolto i bambini se avessi chiesto aiuto. Ho capito che la sua violenza si moltiplicava nella vita di mio figlio, esposto a una guerra e se ne rendeva conto. La vita inizia dove finisce la paura. Ho chiesto aiuto quando ho capito che mio figlio doveva essere protetto, ho incontrato grandi donne e una equipe importante, la solitudine che avevo non c’è stata più. Sto recuperando fiducia, ho incontrato persone che sono diventate la mia famiglia, mi posso sperimentare e vivere una vita tranquilla e serena, ho recuperato l’intuito, la libertà e l’autostima".

Angelica Malvatani