Coronavirus Fermo, l'arcivescovo Pennacchio. "Prego per voi, ce la faremo"

Pasqua con il virus: l’arcivescovo regala parole di speranza

Pennacchio (foto Zeppilli)

Pennacchio (foto Zeppilli): "Irritante la precisazione ’patologie pregresse’ come se gli anziani fossero per forza candidati a morire"

Fermo, 9 aprile 2020 - Monsignor Pennacchio, siamo nella Settimana Santa, dove predomina anche la morte. Che messaggio si sente di dare alle famiglie dell’Arcidiocesi che hanno perso un loro caro per colpa del coronavirus? "Sono certo che i parroci non hanno fatto mancare la loro vicinanza alle famiglie colpite dal lutto. Don Tonino Bello diceva che sulla croce si è in due: Gesù da un lato e i crocifissi della terra sull’altro; abbiamo fiducia che la consolazione del Signore non mancherà in quest’ora". Morire da soli senza il conforto dei propri cari e un funerale. Come si può accettare questa situazione? "Non è facile dare una risposta, perché io per primo non riuscirei ad affrontare in solitudine la morte dei miei cari senza la partecipazione della comunità che ne alleggerirebbe il peso. Le immagini dei camion militari carichi di bare ci hanno impressionato e rattristato. Allo stesso tempo, sono rimasto edificato dalla fede di quelle persone che hanno saputo affrontare con dignità questo dramma. A novembre, se l’emergenza sarà cessata, andrò nei comuni colpiti dalla pandemia a celebrare una messa in ricordo delle vittime". Tra le persone maggiormente colpite dal virus figurano gli anziani. C’è bisogno di trovare modelli organizzativi più efficaci ed inclusivi per la terza età? "Reputo irritante la precisazione quasi ossessiva che gran parte delle vittime anziane erano interessate da patologie pregresse, come se questo alleviasse il peso della perdite o si trattasse di persone candidate a morire. Finita l’emergenza, rimarrà la responsabilità di soccorrere gli anziani nella loro solitudine e di assicurare loro le cure necessarie, cose più importanti delle stesse difficoltà economiche, spesso superate dalla pensione". Molti si chiedono “Cosa sta facendo la Chiesa per questa emergenza sanitaria“? "Tanto lavoro delle diocesi viene svolto nel silenzio: spesa o pasti al domicilio delle persone in quarantena e degli anziani, raccolta fondi per gli ospedali e le associazioni di volontariato. Nel suo piccolo anche la nostra comunità ha messo a disposizione 15 camere per operatori sanitari dell’ospedale di Fermo che ne avessero necessità, ha sostenuto l’acquisto di respiratori e ha contribuito all’attività delle pubbliche assistenze. Per il futuro, ci sarà un fondo per sostenere le difficoltà delle famiglie. Prosegue poi l’attività dei centri di ascolto, mense e dormitori presenti in diocesi". Il virus causa gravi conseguenze economiche. Teme che nel territorio della diocesi si acuiscano le tensioni sociali? "Il futuro economico è la grande incognita. Per un po’ le massicce misure annunciate dal Governo verranno incontro alle necessità, ma nel medio periodo temo i contraccolpi che potrebbero portare a tensioni e gesti estremi da parte dei più fragili. Per questo, la comunità cristiana, le Caritas parrocchiali, i centri di ascolto dovranno attrezzarsi per farsi carico non solo dei poveri (cosa che già accade) quanto degli impoveriti, destinati ad aumentare". Il ’restate a casa’ ha offerto più tempo per i rapporti famigliari. Sotto questo aspetto, almeno, il futuro sarà migliore? "Queste settimane sono preziose per riscoprire il valore del tempo, la bellezza dei legami, dello studio, del riposo, del silenzio, della preghiera in famiglia. Inizialmente ero scettico su un reale nuovo inizio perché temevo che, passata la tempesta, saremmo ritornati a vivere come se nulla fosse successo. Oggi, percepisco una maggiore presa di coscienza che sicuramente pone le basi per ricominciare in modo diverso. Ho chiesto perciò ai sacerdoti di non disperdere riflessioni e pensieri per recuperarli quando ritorneremo alla “normalità” della vita pastorale.". Niente celebrazioni con i fedeli. È la settimana più importante per i cristiani, come consiglia di viverla? "Comprendo il disagio del popolo di Dio e anche dei sacerdoti che da tanto tempo vedono le chiese e i locali pastorali vuoti e celebrano l’Eucaristia senza il popolo. Questa sorta di digiuno ci permette di essere solidali con gli ammalati, anziani, disabili che non da ora sono privati dell’esperienza liturgica e pastorale della comunità cristiana e la seguono alla radio, in tv, in streaming. Sarà questa la nostra personale passione, sapendo che la misericordia del Signore è grande e ci salverà anche se non avremo potuto partecipare al Triduo Pasquale come avremmo voluto". La comunione eucaristica può essere sostituita con quella spirituale. Come si può continuare, invece, a praticare il sacramento della confessione? "Riferisco le parole del papa: se tu non trovi un sacerdote per confessarti, parla con Dio, è tuo Padre, e digli la verità: “Signore ho combinato questo, questo, questo… Scusami“, e chiedigli perdono con tutto il cuore, con l’Atto di Dolore e promettigli: “Dopo mi confesserò, ma perdonami adesso“. E subito, tornerai alla grazia di Dio”". Su Google, ultimamente, tra le parole più cercate c’è ‘preghiera’. Come lo spiega? "Non mi meraviglia che in tempi di difficoltà e timore per il futuro ci si aggrappi alla preghiera. Non a caso il papa, di fronte ad una piazza S. Pietro deserta, ha meditato il brano del Vangelo in cui i discepoli, in balìa delle onde, gridarono a Gesù: “Salvaci, siamo perduti”. È indubbio che pregare di più ci aiuti a prendere coscienza della nostra fragilità e vulnerabilità. Dobbiamo evitare le esagerazioni devozionali, sempre in agguato, che attribuiscono alle preghiere una sorta di efficacia automatica". Il dopo Pasqua potrebbe coincidere con il ’dopo fase 1’ dell’emergenza. Che augurio si sente di dare alla sua Arcidiocesi per questi due ‘dopo’? "Auguro a tutti di considerare questa lunga quaresima non una brutta pagina da cancellare ma un tempo di grazia. Infatti, stiamo rinsaldando il legame spirituale con la comunità ecclesiale e tra noi, rafforzando il valore dell’Eucaristia proprio perché ne sentiamo disperato bisogno, consolidando l’appartenenza alla società, grazie anche all’impegno di quanti tutelano la nostra salute e incolumità. Risorgeremo in Cristo più cristiani e più italiani, ne sono sicuro".