Porto Sant'Elpidio, via trenta profughi dal residence Nazionale

Sono stati trasferiti in altre strutture su disposizione della Prefettura

I profughi hanno portato via tutte le loro cose

I profughi hanno portato via tutte le loro cose

Porto Sant'Elpidio (Fermo), 10 ottobre 2018 - C'era aria di smobilitazione, ieri mattina, nel residence Nazionale, lungo la Statale 16: erano in partenza i 30 profughi che, negli ultimi due anni sono stati ospitati nel Cas (Centro accoglienza straordinaria) attivato da Gestione Orizzonti nella struttura ricettiva. La comunicazione con cui la Prefettura disponeva il loro trasferimento in altre strutture di accoglienza è di lunedì pomeriggio e ancora ieri erano in corso le operazioni di smistamento dei profughi rimasti nelle nuove destinazioni, presenti i carabinieri della locale stazione e agli agenti di polizia.

Con il passare passare del tempo, molti degli iniziali 75 profughi, hanno trovato un lavoro e altre sistemazioni per cui si sono sganciati dal programma di accoglienza. Solo 3 dovrebbero essere rimandati nel Paese di provenienza, mentre gli altri hanno preparato i bagagli, con le poche cose che hanno con loro, per essere accompagnati nelle nuove destinazioni. Le operazioni si sono svolte con grande tranquillità, anche se molti erano preoccupati per il loro futuro e, addirittura, ad alcuni è scappata qualche lacrima nel doversi separare da persone con cui era nata un’amicizia.

«Non sappiamo cosa faremo. Speriamo non ci portino tanto lontano. Qui, ogni tanto, riusciamo a fare qualche lavoretto», dicevano alcuni (sono tutti tra i 18 ai 40 anni) arrivati dal Gambia, Nigeria, Senegal, Bangladesh, Pakistan. I lavoretti di cui parlavano erano in agricoltura: «Ho lavorato nei campi per la vendemmia a 5 euro l’ora. Ma ora la raccolta è finita», confidava un pakistano. Un suo connazionale sperava di trovare lavoro come cuoco: «Ogni tanto mi chiamano in un ristorante cinese. Penso di restare ancora un po’ in Italia ma poi torno in Pakistan».

Chi ha ottenuto lo status di rifugiato può organizzarsi autonomamente, lasciando il Cas. «Sono preoccupato – diceva, invece, un 19enne senegalese –, non so cosa farò adesso». Una confidenza che il giovane di colore scambiava con un paio di anziani del posto, clienti del vicino bar. «Ci dispiace che se ne vada – commentavano questi ultimi -, è un bravo ragazzo. Ci mancheranno. Ci eravamo abituati alla loro presenza». Intanto, trascinando i trolley, la sacca in spalla, prima di partire, questi ragazzi salutavano la barista, il benzinaio, i clienti, tutta gente con cui hanno stretto un legame se non proprio di amicizia, almeno di civile convivenza.