Scarpe, sale l’export. "Ma è l’effetto dei grandi brand"

PORTO SANT’ELPIDIO (Fermo) "Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza" è la frase di Lorenzo de’ Medici che...

PORTO SANT’ELPIDIO (Fermo)

"Chi vuol esser lieto, sia: di doman non c’è certezza" è la frase di Lorenzo de’ Medici che campeggiava sopra al palco dove si è svolta l’assemblea della più importante sezione calzaturiera in ambito confindustriale, quella di Fermo. Una frase che descrive perfettamente la situazione che vivono gli operatori del distretto, consapevoli delle incertezze del futuro. "I dati dicono che le calzature sono la terza voce dell’export regionale, 1,4 miliardi, poco sotto la produzione di macchinari e a distanza dal farmaceutico, che da solo fa un terzo del Pil regionale – dice Valentino Fenni, presidente della sezione calzaturiera di Confindustria Fermo e vice presidente di Assocalzaturifici –. Chiudiamo i primi nove mesi con un più 8,5% sul 2022. La provincia di Fermo è prima nella regione con 680 milioni, seguita dai 400 di Macerata e dai 200 di Ascoli. Valiamo oltre il 50% dell’export regionale di calzature". Ma non mancano le preoccupazioni. "I dati dovrebbero confortarci, ma la realtà è diversa – ammette Fenni –. Le domande di cassa integrazione si moltiplicano e mi chiedo: da dove arrivano questi dati? La risposta è semplice: sono il frutto del lavoro dei brand del lusso che crescono sul territorio. Si vede dai dati, se crescono solo le esportazioni in Cina con un +1.000%, in Svizzera +134% e con la Francia stabile o in calo, si parla di esportazioni di marchi del lusso. Quando si vede la Germania con -42%, il Belgio con -60% e l’Inghilterra con -67%, parliamo invece di noi ‘normali’ calzaturieri che lavoriamo sui mercati europei. Ma sono sicuro che da soli non si cresce all’infinito, anche i grandi hanno bisogno di noi". In che senso? "Se in un raggio di venti chilometri arrivano Luis Vuitton, Valentino, Loro Piana e si sommano ai Gucci e Prada e impiantano le fabbriche, non lo fanno per beneficenza, ma perché trovano terreno fertile. Per questo bisogna sostenere il settore con tutto l’indotto". Particolarmente sentito il problema dei dazi. "I concorrenti stranieri, come Turchia o India, mettono barriere con la richiesta di certificazioni che noi non chiediamo sui loro prodotti che arrivano in Italia, per non parlare della concorrenza interna in Europa – dice Fenni –. Possiamo essere i più bravi, ma anche il prezzo ha peso nelle scelte del compratore". Quanto alla formazione di dipendenti, le misure in campo danno frutti, ma "serve una strategia di lungo periodo per il nuovo sviluppo del comparto".