Servire e non essere serviti

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don Andrea

Andreozzi*

Gesù chiede ai due figli di Zebedeo, Giacomo e Giovanni, se vogliono bere al calice della sua passione, morte e resurrezione. Li invita a entrare in un rapporto di comunione di vita con lui, fino a condividerne gioie e dolori. Il calice è una coppa ambivalente: da una parte è gioia, ebbrezza, benedizione, vittoria, dall’altra è sorbire fino alla feccia quello che vi è dentro, il sapore amarissimo di ciò che resta nel fondo. Il calice è la parabola stessa della vita, perché la condensa tutta: "Parabola: bellissima parola che, oltre ad essere forma geometrica, è figura di un calice espanso, ricettività in cui i tempi si raccolgono; così a lungo andare farà parte del mistero della seconda conversione il fatto che il mio corso di vita si fa parabola, similitudine del proprio significato" (E. Salmann). Bere al calice di Gesù, in questa domenica, vuol dire assaporare il gusto dolce e amaro delle sue parole, che risuonano ormai in prossimità di Gerusalemme e che condensano il succo della sua pro-esistenza: servire e non essere serviti, pagare con la propria, il riscatto della vita degli altri. A proposito di calice, mi sia permessa una personale divagazione: uno dei ricordi più chiari dell’infanzia sono le parole di mio padre, il quale, vedendomi spesso andare a messa, dal momento che io con il maggior numero di presenze volevo vincere il campionato dei chierichetti, ogni tanto esclamava: "per questo figlio, chissà, un giorno ci vorrà il calice" alludendo al fatto che in futuro potessi diventare prete. Le sue previsioni non furono sbagliate. Al termine di questo mese saranno passati venticinque anni dal giorno della mia ordinazione presbiterale. Mio padre nel novantasei era già morto da dodici anni, ma le sue parole sul calice, in quel sabato ventisei di ottobre, mentre ero prostrato a terra al canto delle litanie, mi tornarono chiare e forti in mente, quasi avessero un nuovo e più profondo significato: "se vuoi il calice, caro Andrea, non è per vincere la classifica dei chierichetti e ottenere il primo premio, ma per fare la volontà di un altro Padre, quello del cielo e per essere un figlio e un servo obbediente".

*rettore del seminario regionale umbro Assisi