Lavoro a Fermo, cresce la disoccupazione: il 2023 si apre a tinte fosche

Secondo i dati della Cgia si passerà dai 3.092 del 2022 a 3.302: in difficoltà saranno anche trasporti ed edilizia

Un cantiere

Un cantiere

Fermo, 2 gennaio 2023 – Il 2023 inizierà con un quadro congiunturale che fotografa situazioni economiche non particolarmente rosee. Rispetto al 2022, infatti, la crescita del Pil e dei consumi delle famiglie è destinata ad azzerarsi e ciò contribuirà a incrementare il numero dei disoccupati, almeno di 63 mila unità.

Il numero complessivo dei senza lavoro, infatti, nel 2023 sfiorerà la quota di 2.118.000. In provincia di Fermo, la situazione, grazie alla grande vitalità imprenditoriale che caratterizza da sempre il territorio non sembra destinata a essere diversa rispetto all’andamento rilevato in Italia. A dirlo è l’Ufficio studi della Cgia sulla base di una elaborazione dei dati Istat e delle previsioni Prometeia. Infatti, nella graduatoria stilata dall’ente di ricerca emerge che la provincia di Fermo occupa la 62esima posizione in Italia. In provincia di Fermo se i disoccupati alla fine del 2022 erano 3.092 le previsioni indicano che nel corso del 2023 raggiungeranno le 3.302 unità.

L’incremento in valori assoluti sarà quindi pari a +210 mentre in termini percentuali al +6,8% ben più alto rispetto al +3,1% della media nazionale. A livello territoriale le 10 province più interessate dall’aumento della disoccupazione saranno Napoli (+5.327 unità), Roma (+5.299), Caserta (+3.687), Latina (+3.160), Frosinone (+2.805), Bari (+2.554), Messina (+2.346), Catania (+2.266), Siracusa (+2.045) e Torino (+1.993). Poche le realtà territoriali che, invece, vedranno diminuire il numero dei senza lavoro. Si segnala, in particolare, Perugia (-741), Lucca (-864) e Milano (-1.098). Sebbene non sia per nulla facile stabilire in questo momento i settori che nel 2023 saranno maggiormente interessati dalle riduzioni lavorative, pare comunque di capire che i comparti manifatturieri, specie quelli energivori e più legati alla domanda interna, potrebbero subire dei contraccolpi occupazionali, mentre le imprese più attive nei mercati globali tra cui quelle che operano nella metalmeccanica, nei macchinari, nell’alimentare-bevande e nell’alta moda saranno meno esposte.

Non solo, stando al sentiment di molti esperti e di altrettanti imprenditori, altre difficoltà interesseranno i trasporti, la filiera automobilistica e l’edilizia, quest’ultima penalizzata dalla modifica legislativa relativa al superbonus, potrebbero registrare le perdite di posti di lavoro più significative. Coloro che hanno curato l’indagine evidenziano che a pagare il prezzo più alto della crisi potrebbero essere i lavoratori autonomi.

La comparazione evidenzia che la crisi pandemica e quella energetica ha colpito soprattutto le partite Iva che, a differenza dei lavoratori subordinati, sono sicuramente più fragili.

Ricordiamo, infatti, che hanno pochissime tutele: rispetto ai dipendenti, ad esempio, non dispongono di malattia, ferie, permessi, Tfr e tredicesime/quattordicesime.

In caso di difficoltà momentanea non hanno né Cig né, in caso di chiusura dell’attività, di alcuna forma di NAspi. Inoltre, come ricorda sempre l’Istat, il rischio povertà nelle famiglie dove il reddito principale è riconducibile a un autonomo è superiore a quelle dei dipendenti.