Gli abiti di Roberto Straccia in un sacco, l'avvocato: "Prove importanti mai analizzate"

Mecchi: pronti a rivolgerci alla Corte europea

Roberto Straccia

Roberto Straccia

Moresco (Fermo), 14 aprile 2015 - «Non vogliono risolvere questo caso». È indignata l’avvocato della famiglia Straccia, Marilena Mecchi, per lo sviluppo delle indagini sulla morte di Roberto Straccia dopo la riapertura del caso. Il giovane di Moresco scomparve da Pescara, dove studiava, nel dicembre 2011 e fu trovato morto sugli scogli del lungomare di Bari 24 giorni dopo, il 7 gennaio. Il caso fu archiviato come suicidio dalla Procura di Pescara, fino a quando nel gennaio del 2014 la famiglia Straccia si è rivolta all’avvocato Mecchi, che ha ottenuto la riapertura del caso, sul quale sta indagando la Procura di Campobasso.

«Molte sono state le incongruenze riscontrate nelle prime indagini – dice l’avvocato – e altrettante continuano ad esserci anche ora». L’avvocato spiega di aver fatto richiesta di dissequestro degli indumenti e degli effetti personali trovati addosso a Roberto. «Insieme al dissequestro – prosegue – avevamo anche chiesto campioni della sabbia rinvenuta negli indumenti di Roberto e mai analizzata, nonostante questo fosse un passaggio fondamentale per verificarne la provenienza e stabilire con certezza se si trattasse di sabbia del porto canale di Pescara o di Bari. Entrambe le richieste sono state presentate al policlinico di Bari (dove è stata eseguita l’autopsia sulla salma di Roberto), alla Procura di Bari e a quella di Pescara». Sabato la famiglia Straccia e il legale Mecchi sono stati convocati dai carabinieri di Pescara per la consegna.

«Non ci è stata consegnata la sabbia – afferma il legale – e non sono stati repertati e conservati in buste sterili gli indumenti di Roberto, come si sarebbe dovuto fare, perché custodi di possibili tracce di reato. È vergognoso sotto tutti i punti di vista che oggetti in materiale non deteriorabile come le chiavi di casa, la bustina di zucchero, e l’Ipod siano stati conservati con sigilli in ceralacca, mentre gli abiti, compreso l’abbigliamento intimo, e le scarpe ci siano stati riconsegnati ammassati in un sacco nero dell’immondizia, chiuso da un nastro isolante. Queste erano prove importanti da conservare in ambiente sterile, mai fatte analizzare. Che cosa devo pensare? Come dovrebbero essere interpretate queste scorrettezze e irregolarità senza fine?».

L’avvocato assicura che la procedura per le indagini sta andando avanti e certo non si fermerà. «Abbiamo inoltrato la richiesta di risarcimento dei danni per il ritardato deposito dei tabulati telefonici – afferma – e aspetteremo il pronunciamento della Procura di Campobasso. Se anche da qui non avremo risposte idonee, sporgeremo denuncia contro lo Stato italiano e ci rivolgeremo alla Corte europea dei diritti dell’uomo, perché è chiaro che questo caso non è che non si possa risolvere, non si vuole risolverlo».