{{IMG_SX}}Ferrara, 16 maggio 2008 - «OGGI? Parlerò di storia, così come ho sempre fatto. E’ la storia, la mia grande passione: se non avessi fatto il regista mi sarebbe piaciuto fare lo storico. Perchè credo che, se non si conosce il proprio passato, non si possa neppure comprendere il proprio presente. Ed è questo che ho sempre cercato di raccontare in tutti i miei film».
 

 

Arrivato ieri sera in città da Roma, il grande regista ferrarese, 82 anni il prossimo 24 agosto, si prepara a vivere una giornata davvero straordinaria: in mattinata, il rettore Patrizio Bianchi gli consegnerà la laurea honoris causa in filosofia; in serata il sindaco Gaetano Sateriale gli offrirà il Premio Città di Ferrara, che il Comune assegna ogni anno ai concittadini che si sono distinti nel mondo.
 

 

Maestro, una laurea ed un premio in un colpo solo...
E’ vero. Sono molto emozionato. E voglio ringraziare Ferrara per questo doppio regalo, una cosa commovente. Per la cerimonia di stamattina nell’aula magna, ho preparato un intervento , la cosiddetta lectio doctoralis, che si intitola ‘Pro Domo mea: la storia come passione civile’. Spero sia un tema interessante.
 

 

La storia, appunto. C’è un filo che unisce tutti i suoi lavori, dai primi cortometraggi su Ferrara e il Delta fino all’ultimo film, ambientato alla corte di Alfonso d’Este e di Lucrezia Borgia.
Sì, la storia, o meglio la microstoria. Sono i fatti della nostra terra, magari conosciuti da noi, ma non fuori, quelli che mi interessano. Vicende che non hanno nulla di ufficiale. Non mi interessano le celebrazioni, le parate, le versioni ufficiali. Nei miei film ho parlato di guerra civile, di errori del comunismo, di stragi compiute dai garibaldini in Sicilia, dei retroscena del delitto Matteotti. Sono sempre andato a cercare episodi poco noti, spesso addirittura taciuti, cercando di raccontarli, di metterli in luce. Un impegno, una passione che mi sono costati cari. Quando ho girato Bronte, raccontando del massacro della popolazione di quel paese, mi accusarono di essere anti garibaldino. Io invece volevo solo raccontare una piccola impresa dentro la Grande Impresa di Giuseppe Garibaldi: un fatto taciuto ed ignorato per decenni, di cui furono protagonisti persone comuni, il popolo. E quando, nel 1966, ho girato le Stagioni del nostro amore mi hanno accusato, criticato, attaccato per anni. Poi, in molti hanno capito, si sono scusati...
 

 

Ma oggi, quando le barriere ideologiche sono cadute, la passioni politiche si sono in gran parte spente, girare un film come le Stagioni del nostro amore forse non farebbe più scandalo, non dividerebbe più...
La passione politica di una volta forse non c’è più. Allora era una fede, una missione. Oggi tutto è più complesso, ci sono più sfumature. Si fanno forse film diversi. Ma, tutto sommato, non so se sia davvero un male.
 

 

Maestro, dopo la consegna della laurea, verrà proiettato il suo documentario Uomini soli, un cortometraggio in cui si parla di Ferrara, di una città che non c’è più...
Sì, è vero. Uomini soli è un cortometraggio del 1959. E’ l’ultimo che ho girato, prima della Lunga notte del ’43. Anche qui parlo di microstorie, racconto la giornata di alcuni ospiti del ricovero Bertocchi, in piazza Travaglio, che oggi non esiste più. E’ il racconto di come queste persone, per scelta o per necessità collocate fuori dalla società cosiddetta normale, vivono la loro vita, fatta di mille espedienti, di mille difficoltà.
 

 

Piccole storie, uno spaccato di un particolare momento nella storia di una città, che però conservano ancora una straordinaria vitalità...
Sa cosa mi sarebbe piaciuto fare? Avrei voluto indagare più a fondo in quelle vite, per capire fin dove il caso o la necessità. o le scelte personali, abbiano influito, fin dove le abbiano cambiate. Ma oggi quella città, quelle persone non ci sono più. E forse non c’è più neanche tanta voglia di sapere ciò che accadeva, di scoprire o apprendere qualcosa dalla vita concreta.
 

 

Maestro, sta parlando della materia per un nuovo film?
No, assolutamente. L’ho detto e lo ripeto. Il mio lavoro di regista si è concluso, non girerò altri film. Ho raccontato tantissime cose in questi sessant’anni, penso che il mio lavoro di ricerca si sia esaurito. E non posso neppure tornare indietro, sulla strada che ho percorso. Non ad ottant’anni suonati. Non crede?